Sterzai violentemente a sinistra. Durante il testacoda, mollai l'acceleratore e non toccai il freno. Quindi ripresi la corsa.
Aggrappato spasmodicamente alla portiera e al poggiatesta, Larry urlava, lottando per non essere strappato fuori attraverso il parabrezza fracassato. Recitando frettolosamente una preghiera, mollai il volante, lasciando che l'auto sbandasse, e premetti un crocifisso sulla mano della vampira. La mano iniziò a fumare e a ribollire di vesciche, poi lasciò Larry e scomparve.
Afferrai di nuovo il volante, ma era troppo tardi. L'auto uscì di strada e precipitò nel fosso. Con uno stridio metallico, qualcosa si spezzò sotto la vettura. Qualcosa di grosso. Venni scaraventata contro la portiera dalla parte del guidatore e Larry mi arrivò addosso. Subito dopo fummo entrambi proiettati dalla parte opposta. Poi tutto finì e il silenzio fu sconvolgente. Mi sembrò di essere diventata sorda. Avevo un gran vuoto ruggente nelle orecchie.
Qualcuno disse: «Grazie a Dio...» Riconobbi la mia voce.
La portiera del passeggero si spaccò come il guscio di una noce e io me ne allontanai freneticamente. Larry invece rimase immobile a fissarla e venne strappato fuori dell'abitacolo. Io scivolai sulla pedana e puntai la pistola verso l'apertura in cui Larry era scomparso.
Fissando Larry, stretto alla gola con violenza da una mano bruna, non riuscii a capire se era in grado di respirare. Mirai al volto bruno del vampiro, Alejandro.
Col viso impenetrabile, lui disse: «Gli squarcio la gola».
«E io ti faccio saltare la testa», replicai. Una mano entrò attraverso il parabrezza spaccato. «Indietro, o perdi la tua bella faccia.»
«Lui morirà per primo», disse il vampiro. La mano però scomparve. Forse a causa dell'emozione aveva parlato con un accento straniero.
Gli occhi di Larry erano troppo spalancati, mostravano troppo il bianco, e il suo respiro era lieve, troppo celere. Sarebbe andato in iperventilazione, se fosse vissuto tanto a lungo.
«Decidi», disse il vampiro, con voce assolutamente distaccata. Gli occhi colmi di terrore di Larry erano abbastanza eloquenti per tutti e due.
Inserii la sicura e protesi la mano a offrire la pistola dalla parte del calcio. Sapevo che era un errore, ma sapevo anche di non poter starmene seduta a guardare mentre il mostro squarciava la gola a Larry. Ci sono cose più importanti della sopravvivenza fisica: bisogna potersi guardare allo specchio. Così consegnai la pistola, per la stessa ragione per cui mi ero fermata a soccorrere il ragazzo. Non avevo scelta: ero una dei buoni. E i buoni sacrificano se stessi. E una regola, scritta da qualche parte.
23
Il volto di Larry era una maschera di sangue. Nessuna ferita sembrava grave, ma nulla sanguina più di un taglietto al cuoio capelluto. Il vetro di sicurezza non era progettato per resistere ai vampiri. Forse avrei dovuto scrivere ai fabbricanti per suggerire una miglioria.
Il sangue colava sulla mano di Alejandro, ancora stretta intorno alla gola di Larry. Con l'altra, il vampiro si era infilato la mia pistola nei pantaloni, dietro la schiena. Sembrava proprio che la sapesse usare bene. Un vero peccato... Alcuni vampiri sono tecnofobi, e questo, certe volte, è vantaggioso.
Il sangue di Larry scorreva sulla mano del vampiro, vischioso e caldo come gelatìna sciolta. Eppure il vampiro non reagiva. Il suo autocontrollo era ferreo. Scrutandolo negli occhi quasi neri, sentivo l'attrazione dei secoli, come se, dentro quegli occhi, si spiegassero ali mostruose. Il mondo ondeggiò. Il mio cervello sembrò affondare e dilatarsi. Allungai una mano, cercando di afferrare qualunque cosa che m'impedisse di cadere. Una mano afferrò la mia. La pelle era fredda e liscia. Mi ritrassi di scatto, urtando la carrozzeria.
«Non toccarmi! Non toccarmi mai!»
Il vampiro rimase incerto, sempre stringendo la gola di Larry con la mano insanguinata e protendendo l'altra verso di me, in un gesto molto umano. Gli occhi di Larry sembravano schizzare dalle orbite.
«Lo stai strozzando», sibilai.
«Scusa...» Il vampiro lo lasciò.
Larry cadde in ginocchio. Il suo primo respiro fu un grido sibilante, affamato d'aria.
Avrei voluto chiedere a Larry come si sentiva, ma non lo feci. Il mio compito era fare in modo che tutti e due ce ne andassimo via da lì. Vivi, se possibile. Inoltre, potevo immaginare benissimo come si sentiva Larry. Era ferito, dunque non c'era bisogno di domande stupide. In effetti, però, c'era una domanda - piuttosto stupida - che potevo fare... «Che vuoi?» chiesi al vampiro.
Alejandro mi guardò, e io lottai per reprimere il desiderio di ricambiare il suo sguardo. Fu difficile. Mi misi a guardare il foro che il mio proiettile aveva aperto nel suo torace. Era molto piccolo e aveva già smesso di sanguinare. Era in grado di guarire così in fretta? Fissai la ferita con tutta la concentrazione di cui ero capace per resistere all'impulso di guardarlo negli occhi. È maledettamente difficile fare i duri con qualcuno quando gli si fissa il petto, ma io avevo fatto pratica per anni, prima che Jean-Claude decidesse di condividere il suo «dono» con me.
Il vampiro non mi aveva risposto, perciò ripetei la domanda con voce bassa e ferma. Non sembravo affatto spaventata, per fortuna. «Cosa vuoi?»
Lo sguardo del vampiro su di me fu quasi come una carezza. Rabbrividii, incapace di controllarmi. Larry mi si avvicinò, strisciando, con la testa ciondoloni, coperto di sangue.
M'inginocchiai accanto a lui e, prima di potermi trattenere, gli chiesi stupidamente: «Tutto bene?»
Lui alzò la testa e, attraverso la maschera di sangue, rispose: «Niente che qualche punto non possa sistemare». Quella specie di battuta mi riscaldò il cuore. Avrei voluto abbracciarlo, dirgli che il peggio era passato, ma non bisogna mai fare promesse che non si possono mantenere.
Il vampiro non si mosse, però qualcosa attirò la mia attenzione su di lui. L'erba autunnale gli arrivava al ginocchio e i miei occhi erano all'altezza della fibbia della sua cintura, quindi era alto circa come me. Era basso, per essere un uomo. La fibbia d'oro, su cui era scolpita una grossa e stilizzata figura d'uomo, luccicava. Come il viso del vampiro, la figura sembrava uscita da un calendario azteco.
L'impulso di alzare gli occhi a incontrare il suo sguardo mi attraversò il corpo come un brivido e il mio mento si alzò di poco, prima che mi rendessi conto di quello che stavo facendo. Il vampiro era entrato nella mia mente senza che me ne accorgessi! Non riuscivo a sentirlo, neppure dopo aver capito che mi stava facendo qualcosa. Ero cieca e sorda, neanche fossi stata una sprovveduta. Be', forse non era proprio così... Il fatto che i vampiri non mi avessero ancora massacrato significava probabilmente che volevano da me qualcosa di più del sangue. Altrimenti io e Larry saremmo stati già morti. Avevo ancora i crocifissi benedetti, ovvio. Che cosa avrebbe potuto farmi, il mostro, se non avessi più avuto la loro protezione? Non avevo nessuna intenzione di scoprirlo. Un unico fatto mi sembrava incontestabile: quel vampiro voleva qualcosa che non avrebbe potuto ottenere dopo la nostra morte. Ma cosa?
«Cosa diavolo vuoi?» ripetei.
Vidi la sua mano. Me la porgeva per aiutarmi ad alzarmi. Lo feci senza aiuto, mettendomi davanti a Larry.
«Dimmi chi è il tuo Master, ragazza, e io non ti farò nessun male.»
«Chi lo farà, allora?» chiesi.
«Astuta... Ma ti giuro che potrai andartene sana e salva, se mi dirai il nome.»
«Anzitutto, non ho nessun Master. Non sono neppure sicura di avere un mio eguale.» Continuai a lottare contro la smania di guardarlo in viso, per scoprire se avesse capito la battuta. Jean-Claude l'avrebbe capita.
«Mi affronti, e hai il coraggio di scherzare?» La sua voce suonò sconcertata, quasi offesa.
«Non ho nessun Master», ribadii. I Master riescono a fiutare la verità e la menzogna.
«Se lo credi davvero, illudi te stessa. Ti sono stati impressi due marchi da un Master. Dimmi il suo nome e io lo distruggerò per te. Ti libererò da questo... problema.»
Esitai. Era più antico di Jean-Claude, molto più antico. Forse sarebbe riuscito a uccidere il Master della Città. E così, naturalmente, sarebbe stato lui a controllare la città. Lui e i suoi tre compari. Erano quattro, non cinque come quelli su cui stavo indagando, tuttavia ero pronta a scommettere che in giro, da qualche parte, ce ne fosse un quinto. E non si poteva certo permettere che due Master impazziti scorrazzassero per la città. Per non parlare poi di un Master a capo di tutti i vampiri della zona e deciso a massacrare i civili.
Scossi la testa. «Non posso.»
«Vuoi liberarti di lui o no?»
«Sì.»
«Allora lascia che ti liberi, Ms. Blake. Lascia che ti aiuti.»
«Come hai aiutato l'uomo e la donna che avete assassinato?»
«Non li ho assassinati io.» La sua voce suonò molto convincente. I suoi occhi erano abbastanza potenti per sopraffarmi, ma la sua voce no. Era priva di magia. Quella di Jean-Claude era migliore. Se per questo, lo era anche quella di Yasmeen. Era bello sapere che non tutti i talenti si sviluppavano allo stesso modo, col tempo. L'antichità non era tutto.
«Dunque non sei stato tu a infliggere il colpo fatale... E allora? I tuoi scagnozzi eseguono la tua volontà, non la loro.»
«Saresti sorpresa nello scoprire quanto sono indipendenti...»
«Smettila.»
«Di fare cosa?»
«Di essere così... razionale.»
Nella sua voce vibrò una risata. «Preferiresti sentirmi farneticare?»
In verità, sì, ma non lo dissi. «Non intendo dirti quello che vuoi sapere. E adesso come la mettiamo?»
Sentii una folata di vento alle mie spalle e cercai di girarmi, ma la vampira in bianco, con le zanne snudate e le mani contratte, imbrattate di sangue altrui, mi travolse. Cademmo all'indietro sull'erba. Sopra di me, lei si avventò sul mio collo come un serpente e io le piantai in faccia il polso sinistro. Un crocifisso le sfiorò le labbra. Un lampo, un fetore di carne bruciata, e la vampira scomparve strillando nell'oscurità. Non avevo mai visto nessun vampiro muoversi tanto rapidamente. Era stata forse un'illusione? Era riuscita a ingannarmi così bene nonostante il crocifisso? Quanti vampiri con più di cinquecento anni potevano esserci in un branco? Soltanto due, speravo. Se fossero stati di più, sarebbero stati in vantaggio numerico.
Mi affrettai a rialzarmi. Il Master era carponi accanto alla mia auto. Larry non si vedeva. Il panico mi afferrò al petto, poi mi resi conto che era strisciato sotto la macchina per evitare di essere preso di nuovo in ostaggio. Quando tutto il resto fallisce, bisogna nascondersi. Per i conigli funziona.
Dolorosamente curvo, con la schiena coperta di vesciche, il vampiro cercava di tirar fuori Larry da sotto la vettura. «Se non esci subito, ti strappo il braccio!»
«Sembra che ti sia scappato un gattino sotto il letto», dissi.
Alejandro si girò di scatto e trasalì come se fosse stato ferito.
Ebbi la sensazione che qualcosa si muovesse alle mie spalle e, fidandomi dell'istinto, mi voltai, sollevando i crocifissi. Davanti a me c'erano due vampiri. Uno era la femmina bionda. Evidentemente la mia pallottola aveva mancato la sua spina dorsale, purtroppo. L'altro era un maschio, che poteva essere il suo gemello. Entrambi si ritirarono sibilando alla vista dei crocifissi. Era bello scoprire che a qualcuno davano noia.
Il Master mi aggredì alle spalle, però lo sentii. Le ustioni lo rendevano goffo, oppure i crocifissi mi proteggevano. Stavo in mezzo a due vampiri da una parte e uno dall'altra, coi crocifissi protesi verso l'uno e gli altri. I biondi mi fissarono, proteggendosi con le braccia, spaventati. Il Master invece continuò ad avanzare con rapidità accecante, senza la minima esitazione. Indietreggiando, cercai di proteggermi coi crocifissi, ma lui mi afferrò l'avambraccio sinistro e mantenne la presa, anche se i ciondoli benedetti erano a pochi centimetri dalle sue carni.
Tirai per allontanarmi il più possibile da lui, poi lo colpii con tutte le mie forze al plesso solare. Lui emise un «Mmm...» e mi colpì sul viso, facendomi barcollare all'indietro. Sentii il sapore del sangue in bocca. Mi aveva soltanto sfiorato, ma era stato abbastanza. Se avessi insistito per fare a pugni, mi avrebbe distrutta.
Lo colpii alla gola. Lui emise un gemito strozzato e parve sorpreso. Essere massacrati di botte è sempre maledettamente meglio che essere morsi. Preferisco morire in eterno, piuttosto che resuscitare coi canini aguzzi e sporgenti.
Lui mi afferrò il polso destro, stringendolo per farmi capire quanto fosse forte. Preferiva ancora avvertirmi, invece che farmi male davvero. Un autentico duro.
Sollevò entrambe le braccia, attirandomi ancora di più a sé. Sembrava proprio che non potessi fare granché per impedirlo. A meno che, naturalmente, i vampiri non avessero i testicoli. Il colpo alla gola gli aveva fatto male. Scrutai il suo viso, abbastanza vicino da poterlo baciare, poi mi curvai verso di lui per ridurre il più possibile la distanza. Lui continuò a tirarmi verso di sé, e la sua stessa forza mi aiutò.
Gli tirai una ginocchiata violenta, poi mantenni la pressione e schiacciai. Non fu una botta rapida. Lui si piegò in avanti, tuttavia non mi lasciò. Non ero ancora libera, ma avevo acquisito un piccolo vantaggio. Senza contare che avevo trovato la risposta a un antico interrogativo: sì, i vampiri hanno le palle.
Lui mi piegò le braccia dietro la schiena, bloccandomi tra le sue braccia e il suo torace, che sembrava duro come legno, inamovibile come la pietra. Eppure soltanto un attimo prima era caldo, cedevole, sensibile, e dunque vulnerabile. Che cos'era successo?
«Toglile il braccialetto», disse a qualcuno che non ero io.
Girai la testa per guardarmi alle spalle e non vidi nessuno. I due vampiri biondi erano ancora bloccati dai crocifissi.
Qualcosa mi toccò un polso e io cercai di ribellarmi, ma il vampiro mi trattenne. «Se lotti, ti ferirà.»
Girai di nuovo la testa, il più possibile, e mi trovai a fissare gli occhi rotondi del ragazzino vampiro. Aveva recuperato il pugnale e se ne stava servendo per spezzarmi il braccialetto.
Il Master mi stringeva le braccia con tanta violenza che non mi sarei stupita se si fossero spezzate con un pop simile a quello di una bottiglia di gazzosa che esplode dopo essere stata agitata. Sicuramente mi lasciai sfuggire un gemito, perché lui disse: «Non intendevo farti male, stanotte». La sua bocca era immersa nei miei capelli, premuta sul mio orecchio. «La scelta è stata tua.»
Il braccialetto si spezzò con uno snap attutito. Lo sentii cadere nell'erba. Il Master sospirò profondamente, come se all'improvviso gli fosse diventato più facile respirare. Era soltanto pochi centimetri più alto di me, però mi tratteneva saldamente i polsi con una sola delle sue manine. La sua stretta era così dolorosa che dovevo sforzarmi per reprimere i lamenti.
Mi passò la mano libera tra i capelli, poi ne afferrò una ciocca e mi tirò la testa all'indietro per potermi guardare negli occhi. I suoi erano completamente neri, senza bianco. «In un modo o nell'altro, Anita, avrò il suo nome.»
Gli sputai in faccia.
Lui urlò e rafforzò la stretta tanto da farmi gridare di dolore. «Avrei potuto renderti piacevole questa esperienza, ma adesso credo proprio di volerti far male. Guardami negli occhi, mortale, e dispera! Assaggia il mio sguardo, e non vi saranno più segreti tra noi...» La sua voce divenne un sussurro udibile a stento. «Forse berrò la tua mente come gli altri bevono il sangue, e non lascerò nulla, se non un guscio vuoto.»
Fissai l'oscurità dei suoi occhi e mi sentii sprofondare. Poi precipitai negli abissi di una tenebra pura e totale, che mai aveva conosciuto la luce.
24
Fissai un viso che non conoscevo. Un uomo si premeva sulla fronte un fazzoletto insanguinato. Capelli corti, occhi chiari, lentiggini. «Ciao, Larry», dissi. La mia voce suonò strana, distante. Non riuscivo a ricordare perché.
Era ancora buio. Larry si era pulito un po', ma la sua ferita continuava a sanguinare. Non potevo essermene andata per molto tempo. Andata? E dove? Non riuscivo a ricordare altro che due occhi. Due occhi neri. Mi alzai a sedere troppo in fretta e Larry fu costretto a sostenermi per impedirmi di cadere.
«Dove sono i...?»
«... i vampiri?» concluse lui.
Appoggiandomi a lui, mormorai: «Già...»
Intorno a noi, nell'oscurità, c'erano altre persone che sussurravano, raccolte a gruppetti. I lampeggianti di una macchina della polizia roteavano nel buio. Due agenti in uniforme, vicino all'auto, parlavano con un tizio di cui facevo fatica a ricordare il nome.
«Karl...» dissi.
«Come?» chiese Larry.
«Karl Inger. Il tizio alto che sta parlando coi poliziotti.»
Larry annuì. «Sì, è lui.»
Un uomo basso e bruno s'inginocchiò accanto a noi. Era Jeremy Ruebens, della Humans First. L'ultima volta che lo avevo visto, ci aveva sparato contro. Cosa diavolo stava succedendo?
Jeremy mi sorrise, e sembrò sincero.
«Come mai all'improvviso è diventato mio amico?»
Il suo sorriso si allargò. «L'abbiamo salvata.»
Mi scostai da Larry. Volevo rimanere seduta con le mie sole forze. Dopo una vertigine momentanea, mi sentii benissimo. Be', insomma, quasi benissimo. «Racconta, Larry.»
Lui guardò Jeremy Ruebens, poi di nuovo me. «Ci hanno salvati.»
«Come?»
«Hanno spruzzato con l'acquasanta quella che aveva morso me.» Si toccò la gola con la mano libera. Fu un gesto inconsapevole, però si accorse che lo avevo notato. «Potrà controllarmi?»
«Mentre ti mordeva è entrata nella tua mente?»
«Non lo so. Come si fa a capirlo?»
Avrei voluto rispondere, ma non lo feci. Come si può spiegare l'inesplicabile? «Se Alejandro, il Master, mi avesse morso mentre frugava nella mia mente, adesso sarei sotto il suo potere.»
«Alejandro?»
«Così gli altri vampiri hanno chiamato il Master.» Scossi la testa, e il mondo intorno a me sembrò ondeggiare in una serie di flutti neri. Fui costretta a deglutire per non vomitare. Che mi aveva fatto? Non era la prima volta che un vampiro mi entrava nella mente, però non avevo mai reagito a quel modo.
«Sta arrivando un'ambulanza», disse Larry.
«Non mi serve.»
«È rimasta priva di conoscenza per più di un'ora, Ms. Blake», disse Ruebens. «Dato che non riuscivamo a farla rinvenire, abbiamo chiesto alla polizia di chiamare un'ambulanza.»
Ruebens era abbastanza vicino perché potessi allungarmi a toccarlo. Sembrava cordiale, decisamente raggiante, come una sposa nel suo grande giorno. Come mai ero diventata all'improvviso la sua risvegliante preferita? «Dunque hanno spruzzato con l'acquasanta la vampira che ti ha morso... E poi?» chiesi a Larry.
«Hanno scacciato gli altri coi crocifissi e gli amuleti.»
«Gli amuleti?»
Ruebens sfilò di tasca una catenina da cui pendevano due minuscoli libri rilegati in metallo. Avrei potuto tenerli in una mano entrambi senza riempirmi il palmo.
«Non sono amuleti, Larry. Sono minuscole Bibbie ebraiche.»
«Credevo che fossero stelle di David...»
«La stella di David non funziona perché non è un vero simbolo religioso, bensì un simbolo razziale.»
«Dunque sono Bibbie in miniatura?»
Inarcai le sopracciglia. «L'Antico Testamento praticamente coincide con la Bibbia ebraica, perciò... sì.»
«E per noi cristiani la Bibbia funzionerebbe?»
«Non lo so. Ma non mi è mai capitato di essere aggredita dai vampiri mentre avevo la Bibbia in tasca.» Probabilmente era colpa mia. Quand'era stata l'ultima volta che avevo letto la Bibbia? Stavo forse diventando una cristiana della domenica? Decisi comunque di preoccuparmi della mia anima più tardi, quando il mio corpo si fosse sentito un po' meglio. «Annullate la chiamata dell'ambulanza. Sto benissimo.»
«Nient'affatto.» Ruebens fece per toccarmi, ma si bloccò nel momento in cui si accorse che lo fissavo. «Si lasci aiutare da noi, Ms. Blake. Abbiamo gli stessi nemici.»
Gli agenti s'incamminarono verso di noi attraverso il prato buio, insieme con Karl Inger, che continuava a parlare sottovoce con loro.
«I poliziotti sanno che prima avete cercato di ammazzarci?»
Qualcosa passò sul volto di Ruebens.
«Non lo sanno, vero?» mormorai.
«L'abbiamo salvata da un fato peggiore della morte, Ms. Blake. Ho sbagliato ad aggredirla. È vero che resuscita i morti, ma, se è davvero nemica dei vampiri, allora siamo alleati.»
«Il nemico del mio nemico è mio amico, eh?»
Lui annuì.
Ancora un po', e i poliziotti sarebbero stati abbastanza vicini da sentire quello che dicevamo. «D'accordo. Ma, se mi punterà di nuovo contro una pistola, dimenticherò che mi ha salvata.»
«Non succederà mai più, Ms. Blake. Ha la mia parola.»
Avrei voluto ribattere in modo sprezzante, ma i poliziotti erano già arrivati e avrebbero sentito. Dato che non intendevo denunciare Ruebens e la Humans First, fui costretta a risparmiare la mia pungente arguzia per la prossima occasione. Conoscendo Ruebens, ero certa che non sarebbe mancata.
Mentii agli agenti su quello che aveva fatto la Humans First e sull'informazione che Alejandro aveva cercato di estorcermi. Dissi che si era trattato semplicemente di un'altra folle aggressione, dopo le due precedenti. In seguito avrei detto la verità a Dolph e a Zerbrowski, ma in quel momento non me la sentii di spiegare a due sconosciuti tutto il casino che era successo. Non ero neppure sicura di voler dire a Dolph ogni cosa: per esempio, che quasi sicuramente ero la serva umana di Jean-Claude.
No, accennare a quel dettaglio non era necessario.
25
La macchina di Larry era una Mazda ultimo modello. Quelli della Humans First erano stati così presi dai vampiri che non avevano avuto il tempo di distruggerla. Una fortuna per noi, visto che la mia auto era andata. Certo, avrei presentato denuncia, lasciando che fosse l'assicurazione a dirmelo, ma capivo che i danni erano gravi perché la vettura, da sotto, perdeva fluidi più scuri del sangue, senza contare che la parte anteriore era accartocciata come se avessimo sbattuto contro un elefante. Sono in grado di riconoscere un relitto irrecuperabile quando ne vedo uno.
Avevamo trascorso due ore al pronto soccorso perché i paramedici dell'ambulanza avevano insistito per farmi visitare da un medico; inoltre Larry aveva avuto bisogno di tre punti sulla fronte. I suoi capelli rossi cadevano a nascondere la ferita. Era la sua prima cicatrice... La prima di molte, se avesse continuato a fare il risvegliante e a frequentarmi.
«Lavori da... quanto? Da quattordici ore?» chiesi. «Be', che ne pensi?»
Lui mi lanciò un'occhiata di sbieco, poi riprese a guardare la strada. Sorrise, ma senza umorismo. «Non lo so.»
«Vuoi diventare un risvegliante, dopo la laurea?»
«Così credevo.»
Era sincero. Una qualità rara. «Non ne sei più sicuro?»
«Non del tutto.»
Lasciai perdere. D'istinto, mi venne voglia di convincerlo a rinunciare, consigliandogli di trovarsi un lavoro sano e normale, ma sapevo che resuscitare ì morti non era una scelta. Se il tuo «talento» è abbastanza forte, devi esercitarlo; altrimenti rischi che il potere si manifesti nei momenti più strani. La frase «incidente mortale» significa qualcosa per voi? Be', significava qualcosa per la mia matrigna, Judith, che naturalmente non era affatto contenta del mio lavoro: lo considerava macabro. Che potevo dire? Aveva ragione.
«Ci sono altri lavori che si possono fare con una laurea in biologia soprannaturale...»
«Quali? Il disinfestatore? Il guardiano allo zoo?»
«L'insegnante, la guardia forestale, il naturalista, il biologo, il ricercatore...»
«E con quale altro lavoro si guadagna altrettanto?»
«I soldi sono l'unico motivo per cui vorresti fare il risvegliante?» Ero delusa.
«Voglio fare qualcosa per aiutare la gente. Liberare il mondo dal pericolo dei non morti è il modo migliore per usare le mie capacità, no?»
Lo fissai. Nel buio dell'abitacolo non vidi altro che il suo profilo, che le luci del cruscotto illuminavano dal basso. «Tu vuoi diventare uno sterminatore di vampiri, non un risvegliante...» Non cercai di nascondere la sorpresa.
«È il mio vero scopo, sì.»
«Perché?»
«Tu perché lo fai?»
Scossi la testa. «Rispondi alla mia domanda, Larry.»
«Voglio aiutare la gente.»
«Allora diventa un poliziotto. C'è bisogno di agenti che conoscano gli esseri soprannaturali.»
«Pensavo di essermela cavata bene, stanotte...»
«Infatti.»
«Allora cosa c'è che non va?»
Cercai di formulare la frase nella maniera più concisa e convincente. «Ciò che è accaduto stanotte è stato terribile, tuttavia succede anche di peggio.»
«Olive è vicino. Dove devo girare?»
«A sinistra.»
La macchina imboccò l'uscita e percorse il raccordo. Sostammo all'incrocio, alla luce del segnale di svolta che lampeggiava nell'oscurità.
«Non sai in che cosa ti stai cacciando...» mormorai.
«Allora dimmelo tu.»
«Farò di meglio. Te lo mostrerò.»
«Cioè?»
«Al terzo semaforo gira a destra.»
Entrammo nel parcheggio. «Primo palazzo a destra.»
Larry scivolò nell'unico parcheggio libero che riuscì a trovare: il mio. La mia povera piccola Nova non ci sarebbe più tornata.
Nel buio dell'abitacolo mi tolsi il giubbotto. «Accendi la luce interna», dissi.
Lui obbedì. In questo era più bravo di me, e mi stava benissimo, visto che obbediva ai miei ordini.
Gli mostrai le cicatrici che avevo sulle braccia. «Vedi questa ustione a forma di croce? E il ricordo di quello che mi hanno fatto alcuni servi umani semplicemente per divertirsi. E quest'ammasso di tessuto cicatriziale nella piega del braccio? È il punto in cui un vampiro mi ha fatta a pezzi. Secondo il fisioterapista, è un miracolo che abbia recuperato l'uso completo dell'arto. Qui mi hanno dato quattordici punti: un altro servo umano mi aveva ferita. E queste sono soltanto le braccia.»
«C'è altro?» Il suo viso era pallido e strano nella luce interna dell'auto.
«Un vampiro mi ha conficcato un paletto spezzato nella schiena.»
Lui trasalì.
«E quello che mi ha straziato il braccio mi ha rotto anche la clavicola, mentre mi mordeva.»
«Stai cercando di spaventarmi...»
«Puoi scommetterci.»
«Non intendo lasciarmi spaventare.»
Anche senza la rassegna delle cicatrici, gli avvenimenti di quella notte avrebbero dovuto terrorizzarlo a dovere. E invece no, dannazione! Avrebbe tenuto duro, se non lo avessero ammazzato prima... «E va bene... Rimani pure per il resto del semestre... Ma promettimi che non andrai a caccia di vampiri senza di me.»
«Dimmi qualcosa di Mr. Burke...»
«Lui aiuta a eliminare i vampiri. Non va da solo a cacciarli.»
«Che differenza c'è tra eliminarli e cacciarli?»
«Eliminare un vampiro significa trafiggere un cadavere con un paletto, oppure dare il colpo di grazia a un vampiro che non può difendersi.»
«E cacciarli?»
«È quello che farò quando andrò a cercare i vampiri che stanotte ci hanno quasi ammazzato.»
«E tu non credi che Mr. Burke possa insegnarmi a cacciarli?»
«Non credo che Mr. Burke possa insegnarti a restare vivo.»
Larry sgranò gli occhi.
«No, non ti metterebbe volontariamente nei guai, sta' tranquillo. Ma, se fosse in gioco la tua sopravvivenza, allora mi fiderei soltanto di una persona: me stessa.»
«Credi che si arriverà a questo?»
«Ci siamo già quasi arrivati, dannazione!»
Per qualche istante Larry tacque, con lo sguardo fisso sulle mani posate sul volante. «Prometto di non andare a caccia di vampiri con nessuno, se non con te.» Con un lampo negli occhi azzurri, scrutò il mio viso. «Neppure con Mr. Rodriguez? Mr. Vaughn dice che è stato lui a insegnarti...»
«Manny è stato il mio insegnante, però ormai non va più a caccia di vampiri.»
«Perché?»
Sostenni lo sguardo dei suoi occhi azzurri. «Perché sua moglie ha troppa paura, e perché ha quattro figli.»
«Tu e Mr. Burke non siete sposati e non avete figli.»
«Esatto.»
«Neanch'io.»
Non potei fare a meno di sorridere. Anch'io avevo avuto la stessa convinzione? Mah... «I presuntuosi non piacciono a nessuno, Larry.»
Sorrise e, di colpo, mi sembrò un tredicennne. Ma perché non correva a nascondersi, dopo quello che era successo? E perché non lo facevo anch'io? Non avevo risposte o, almeno, nessuna che avesse senso. Perché lo facevo? Perché ero brava. Forse anche Larry sarebbe diventato bravo. O forse sarebbe morto.
Scesi dalla macchina e mi appoggiai alla portiera aperta. «Torna subito a casa e, se non hai qualche crocifisso di riserva, compratene uno domattina.»
«Okay.»
Chiusi la portiera sul suo viso serio e ardente, poi salii le scale senza voltarmi. Non lo guardai ripartire, ancora vivo, ancora pronto a lottare dopo il suo primo scontro coi mostri. Io avevo soltanto quattro anni più di lui, ma quei quattro anni sembravano secoli. Non sono mai stata ingenua come lui, perché mia madre è morta quando avevo otto anni. Perdere così presto un genitore ti rende... opaco.
Non mi ero arresa: avrei continuato nel mio tentativo di dissuadere Larry a diventare uno sterminatore di vampiri, ma, se avessi fallito, allora avrei lavorato con lui. Ci sono soltanto due tipi di cacciatori di vampiri: quelli bravi e quelli morti. Forse potevo aiutare Larry a diventare un bravo cacciatore. Sarebbe stata una conclusione nettamente migliore dell'altra.
26
Erano le 3.34 di venerdì mattina. Era stata una lunga settimana. D'altronde, c'era mai stata, quell'anno, una settimana che non fosse stata lunga? Avevo detto a Bert di assumere altri risveglianti, e lui aveva assunto Larry. Perché non ne ero felice? Perché Larry era soltanto un'altra vittima in attesa del mostro giusto. Rivolsi una silenziosa preghiera a Dio perché proteggesse quel ragazzo. Avevo già visto morire troppi innocenti e non credevo di poter sopportare che succedesse ancora.
Nel corridoio provai la sensazione che provo sempre nel cuore della notte. Gli unici rumori erano il mormorio dell'impianto di riscaldamento e il rumore attutito delle mie Nike Airs sulla passatoia. Era troppo tardi perché i miei vicini dalle abitudini diurne fossero ancora svegli, e troppo presto perché si fossero già alzati. Due ore prima dell'alba si desidera soltanto la privacy.
Aprii la serratura nuova di zecca, a prova di scassinatore, ed entrai nell'oscurità del mio appartamento. Premetti l'interruttore, inondando di luce splendente le pareti bianche, la moquette, il divano, la poltrona. Tutti preferiscono la luce, anche quelli che ci vedono bene al buio. Siamo tutti creature diurne, quale che sia il nostro lavoro.
Gettai il giubbotto sul banco della cucina, perché era troppo sporco per buttarlo sul divano bianco. Quanto a me, ero tutta sporca di fango e di erba, ma le macchie di sangue erano poche. La notte era finita bene, tutto sommato. Stavo per sfilarmi la fondina ascellare, quando ebbi la sensazione che un movimento turbasse l'aria. E capii di non essere sola.
La mia mano era già sul calcio della rivoltella quando la voce di Edward giunse dal buio della mia camera da letto. «Non farlo, Anita.»
Esitai, con le dita sulla pistola. «E se lo facessi?»
«Ti sparerei. Sai che lo farei.» La sua voce era rilassata. Un predatore sicuro di se stesso. Sapevo cosa poteva fare quando parlava con quel tono. Una volta lo avevo visto bruciare alcuni vampiri col lanciafiamme. Liscio e calmo come la via per l'inferno.
Scostai lentamente la mano dalla pistola. Se lo avessi costretto, Edward mi avrebbe sparato. Meglio non costringerlo. Non ancora... Poi, senza aspettare che me lo ordinasse, incrociai le mani sopra la testa. In qualità di prigioniera disposta a collaborare, forse sarei stata premiata? Ne dubitavo.
Come uno spettro biondo, Edward sbucò dall'oscurità. Era tutto vestito di nero e il suo viso pallido sembrava quasi luminoso. Stretta fra le mani guantate - e puntata al mio petto - c'era una Beretta calibro 9.
«Pistola nuova?» chiesi.
Il fantasma di un sorriso gli increspò le labbra. «Sì. Ti piace?»
«La Beretta è una buona arma, però... Tu mi conosci...»
«Sei una fan della Browning.»
Gli sorrisi. Nient'altro che due vecchi amici che chiacchierano delle loro preferenze.
Tenendomi la pistola premuta contro il corpo, lui mi sfilò la Browning dalla fondina. «Appoggiati e allarga le gambe.»
Appoggiata allo schienale del divano, mi lasciai perquisire. Sapevo che non avrebbe trovato niente, però lui non ne poteva essere sicuro e non trascurava mai nulla. Era una delle ragioni per cui era ancora vivo. Ce n'era un'altra, di ragione: Edward era molto, molto in gamba.
«Avevi detto di non poter scassinare la mia serratura...»
«Mi sono procurato attrezzi migliori.»
«Dunque non è a prova di scasso...»
«Lo sarebbe per la maggior parte della gente.»
«Ma non per te.»
Mi fissò, gli occhi vuoti e morti come il cielo d'inverno. «Io non sono la maggior parte della gente.»
Fui costretta a sorridere. «Puoi dirlo forte.»
Si accigliò. «Dimmi il nome del Master, e non saremo costretti a risolvere la faccenda nel modo peggiore.» La pistola non oscillò neanche per un momento. La mia Browning era infilata nella sua cintura, sulla pancia. Speravo che si fosse ricordato della sicura. O forse non lo speravo affatto...
Aprii la bocca, la richiusi, e mi limitai a guardarlo. Non potevo consegnargli Jean-Claude. Per i vampiri, io ero la Sterminatrice, ma Edward era la Morte, e si era guadagnato quel soprannome.
«Credevo che mi avessi pedinato anche stanotte», sibilai.
«Sono andato a casa dopo averti visto resuscitare lo zombie. Forse dovevo rimanere nei dintorni. Chi ti ha spaccato la faccia?»
«Non ti dirò un accidente di niente. Lo sai.»
«Tutti cedono, Anita. Tutti.»
«Anche tu?»
Quel fantasma di sorriso ritornò. «Anch'io.»
«Qualcuno ha avuto la meglio sulla Morte? Racconta...»
Il sorriso si allargò. «Un'altra volta.»
«È bello sapere che ci sarà un'altra volta.»
«Non sono qui per ucciderti.»
«Soltanto per spaventarmi o torturarmi abbastanza da costringermi a rivelare il nome del Master... Giusto?»
«Giusto», disse lui, con voce morbida e bassa.
«Speravo che dicessi 'sbagliato'.»
Accennò una scrollata di spalle. «Consegnami il Master della Città, Anita, e io me ne vado.»
«Sai che non posso farlo.»
«So che devi, altrimenti sarà una notte molto lunga.»
«Allora sarà una notte molto lunga, perché io non intendo dirti un cazzo.»
«Non ti lasci spaventare, eh?»
«No.»
Lui scosse la testa. «Girati, appoggiati al divano e metti le mani dietro la schiena.»
«Perché?»
«Fallo e basta.»
«Perché tu possa legarmi le mani?»
«Fallo, subito.»
«Non credo proprio.»
La sua fronte si corrugò. «Vuoi che ti spari?»
«No, ma non intendo neanche lasciarmi legare.»
«Non fa mica male.»
«Mi preoccupa il seguito.»
«Sapevi cos'avrei fatto se avessi rifiutato di aiutarmi.»
«Allora fallo.»
«Non collabori.»
«Come mi dispiace!»
«Anita...»
«Non mi va di aiutare chi intende torturarmi. Però non vedo schegge di bambù. Come si fa a torturare qualcuno senza schegge di bambù?»
«Smettila!» Edward sembrava arrabbiato.
«Di fare cosa?» Sgranai gli occhi e cercai di assumere un'espressione candida e indifesa.
Edward rise. Una risatina soffocata che si dilatò finché lui non si mise seduto sul pavimento, con la pistola abbassata, fissandomi con gli occhi lustri. «Come faccio a torturarti se continui a farmi ridere?»
«Non puoi. Il piano era proprio questo.»
«Nient'affatto. Stavi soltanto facendo la furba. Fai sempre la furba.»
«Sono contenta che tu te ne sia accorto.»
Sollevò una mano. «Basta, per favore.»
«Ti farò ridere finché non implorerai pietà.»
«Dimmi quel dannato nome! Ti prego, Anita, aiutami.» L'allegria scomparve dal suo sguardo come il sole all'orizzonte. Rimasi a guardare l'allegria e l'umanità che si dissolvevano e i suoi occhi diventare freddi e vuoti come quelli di una bambola. «Non obbligarmi a farti del male.»
Ero la sua unica amica, credo, eppure ciò non gli avrebbe impedito di torturarmi. Edward aveva una regola: fare tutto quello che serve per finire il lavoro. Se lo avessi obbligato a torturarmi, lo avrebbe fatto, anche se non voleva.
«Adesso che lo hai chiesto gentilmente, riprova con la prima domanda.»
Socchiuse gli occhi, poi chiese: «Chi ti ha spaccato la faccia?»
«Un Master», sussurrai.
«Dimmi cos'è successo.»
Suonava un po' troppo come un ordine, ma lui aveva le pistole, quindi gli raccontai tutto quello che era successo. Gli dissi di Alejandro, un vampiro così antico da farmi dolere le ossa. Affogata in tutta quella verità, aggiunsi una piccola bugia: dissi che il Master della Città era Alejandro. Una delle mie idee migliori, eh?
«Davvero non sai dove sia il suo rifugio diurno?»
«Se lo sapessi, te lo direi.»
«Perché hai cambiato idea?»
«Stanotte ha cercato di uccidermi. Non si accettano più scommesse.»
«Non ti credo.»
Era una bugia troppo bella per sprecarla. «È anche impazzito. Sono lui e i suoi scagnozzi che stanno massacrando cittadini innocenti.»
Edward sorrise beffardamente all'aggettivo «innocenti», ma lasciò correre. «È un motivo altruistico. Ti credo, Anita. Se tu non fossi così maledettamente tenera di cuore, saresti pericolosa.»
«Ammazzo la mia quota, Edward.»
I suoi vuoti occhi azzurri mi fissarono, poi lui annuì lentamente. «Vero.» E mi restituì la pistola, dalla parte del calcio.
Il grumo che avevo nello stomaco si sciolse. Trassi un profondo respiro di sollievo.
«Se scopro dov'è il rifugio di questo Alejandro, vuoi essere della partita?»
Ci riflettei per qualche istante. Volevo andare a stanare cinque vampiri pazzi, due dei quali avevano più di cinquecento anni? No. Volevo che Edward, nonostante quello che era, andasse ad affrontarli da solo? No, non volevo. Dunque... «Sì, anch'io voglio farli a pezzi.»
Edward fece un sorriso luminoso. «Come amo il mio lavoro!»
Sorrisi a mia volta. «Anch'io!»
27
Jean-Claude giaceva nel mezzo di un bianco letto a baldacchino. La sua pelle era bianca quasi come le lenzuola. Indossava una vestaglia. Il pizzo gli cadeva dal collo a incorniciare il petto e scendeva dalle maniche a nascondere quasi completamente le mani. Quell'abbigliamento rischiava di farlo sembrare effeminato, invece l'impressione che se ne ricavava era di un'assoluta virilità. Com'era possibile che un uomo indossasse una vestaglia bianca adorna di pizzi senza sembrare sciocco? Be', certo, lui non era un uomo...
I suoi capelli neri si arricciavano sul collo di pizzo. Sarebbe stato bello accarezzarli, ma scossi la testa. No, neppure in sogno! Io indossavo un abito lungo e morbido, di un blu scuro quasi quanto i suoi occhi. Per contrasto, le mie braccia sembravano bianchissime.
Jean-Claude si alzò in ginocchio e protese una mano verso di me, invitandomi.
Scossi la testa.
«È soltanto un sogno, ma petite... Vuoi respingermi anche adesso?»
«Non è mai soltanto un sogno, con te. È sempre qualcosa di più.»
La sua mano ricadde sulle lenzuola e le accarezzò.
«Cosa stai cercando di farmi, Jean-Claude?»
Lui mi scrutò con calma. «Di sedurti, ovvio.»
Il telefono accanto al letto squillò. Era uno di quegli apparecchi bianchi vecchio stile, con un sacco di dorature. Eppure fino a un attimo prima non lo avevo visto. Squillò di nuovo, e il sogno s'infranse. Mi destai, allungando una mano ad afferrare il mio telefono. «Pronto...»
«Ehi! Ti ho svegliata?» disse Irving Griswold.
Battei le palpebre. «Già... Che ore sono?»
«Le dieci. So che non devo chiamarti presto.»
«Che vuoi, Irving?»
«Come sei scorbutica...»
«Sono tornata tardi. Lasciamo perdere il sarcasmo, okay?»
«Io, il tuo fedele amico reporter, ti perdonerò per questa brusca accoglienza, se risponderai a qualche domanda.»
«Quale domanda?» Mi alzai a sedere, stringendo il telefono. «Di che stai parlando?»
«Quelli della Humans First sostengono che la notte scorsa ti hanno salvato la vita... E così?»
«Sostengono proprio questo? Potresti essere un po' più chiaro, Irving?»
«Stamattina Jeremy Ruebens è stato intervistato al telegiornale di Channel Five. Ha detto che la notte scorsa lui e altri della Humans First ti hanno salvato la vita. Più precisamente, ti hanno salvata dal Master della Città.»
«Oh, nient'affatto.»
«È una dichiarazione ufficiale?»
«No.»
«Anita... Mi serve una tua dichiarazione ufficiale per il giornale. Ti sto offrendo la possibilità di confutare...»
«Di confutare?»
«Ehi! Ho una laurea in lingua e letteratura inglese!»
«Questo spiega molte cose...»
«Vuoi raccontarmi la tua versione della storia o no?»
Riflettei per qualche istante. Irving era un amico e un bravo reporter. Se Ruebens aveva già raccontato al telegiornale quello che era successo, io dovevo dire la mia. «Mi lasci un quarto d'ora per fare il caffè e vestirmi?»
«Per un'esclusiva? Puoi scommetterci!»
«Allora ci sentiamo tra poco.» Riagganciai e andai subito in cucina. Indossavo calze da jogging, jeans e la T-shirt enorme con cui avevo dormito. Tornata in camera da letto, posai sul comodino, accanto al telefono, una tazza di caffè fumante: era un caffè aromatizzato con nocciola e cannella, comprato al V.J.'s Tea and Spice Shop, su Olive. Era impossibile cominciare meglio la giornata.
«Okay», disse Irving. «Datti da fare.»
«Cristo, Irving! Niente preliminari?»
«Dacci dentro, Blake. Devo consegnare il pezzo.»
Gli raccontai tutto. E fui ovviamente costretta ad ammettere che la Humans First mi aveva salvato il culo, anche se mi seccava. «Non posso confermare che il vampiro messo in fuga da loro era il Master della Città.»
«Ehi! So che il Master è Jean-Claude. L'ho intervistato... Ricordi?»
«Certo.»
«Perciò so che quell'indio non era Jean-Claude.»
«Ma la Humans First non lo sa...»
«Una doppia esclusiva! Uau!»
«No, non dire che Alejandro non è il Master.»
«Perché?»
«Se fossi in te, prima chiarirei la faccenda con Jean-Claude.»
Lui si schiarì la gola. «Già... Non è una cattiva idea...» Sembrava nervoso.
«Jean-Claude ti crea qualche problema?»
«No. Perché me lo chiedi?»
«Menti da schifo, per essere un reporter.»
«Jean-Claude e io abbiamo certi affari personali che non riguardano la Sterminatrice.»
«Fantastico! Però guardati le spalle, okay?»
«Mi lusinga che ti preoccupi per me, Anita, ma fidati: so come trattarlo.»
Non lo misi in dubbio, quindi dovevo essere di buonumore. «Se lo dici tu, Irving...»
Lui lasciò perdere, e io pure. Nessuno sapeva come trattare Jean-Claude, però non erano affari miei. Era stato Irving a volere l'intervista e, a quanto pareva, aveva instaurato un rapporto con Jean-Claude. Non era una grossa sorpresa e non era affar mio.
«Sarai in prima pagina. Controllerò con Jean-Claude se sia il caso di accennare al nuovo vampiro che non è il Master.»
«Ti sarei davvero grata se lasciassi perdere.»
«Perché?» Irving parve insospettito.
«Forse non sarebbe un'idea così cattiva se la Humans First credesse che il Master è Alejandro.»
«Perché?»
«Così non ucciderebbero Jean-Claude.»
«Oh...»
«Già...»
«Lo terrò a mente.»
«Fallo.»
«Devo andare. Non posso ritardare la consegna del pezzo.»
«Okay, Irving. Ci sentiamo più tardi.»
«Ciao, Anita, e grazie.» Riappese.
Sorseggiai lentamente il caffè ancora fumante. Con la prima tazza della giornata non si dovrebbe mai avere fretta. Se fossi riuscita a far bere alla Humans First la stessa balla che Edward si era bevuto, allora nessuno si sarebbe messo in caccia di Jean-Claude. Tutti avrebbero braccato Alejandro, il Master che stava massacrando gli umani. E se anche la polizia si fosse messa sulle tracce del branco, i vampiri pazzi avrebbero perso il vantaggio numerico. Già... Davvero una gran bella idea...
Il problema era: l'avrebbero bevuta tutti? Be', finché non si prova, non si può sapere.
28
Avevo vuotato una caffettiera ed ero riuscita a vestirmi, quando il telefono squillò di nuovo. «Sì?» risposi.
«Ms. Blake?» La voce era incerta.
«Chi parla?»
«Sono Karl Inger.»
«Scusi se sono stata un po' brusca, Mr. Inger. Che succede?»
«Ha detto che potevamo incontrarci di nuovo, se avessimo avuto un piano migliore... Ebbene, ho un piano migliore.»
«Per uccidere il Master della Città?»
«Sì.»
Inspirai ed espirai lentamente, distogliendo il viso dal telefono. Non volevo indurlo a pensare che ansimassi per lui. «Mr. Inger...»
«Mi ascolti, la prego. Le abbiamo salvato la vita, la notte scorsa, e questo vale pure qualcosa...»
Mi aveva messa con le spalle al muro. «Qual è il suo piano, Mr. Inger?»
«Preferirei parlarne di persona.»
«Sarò in ufficio soltanto tra qualche ora.»
«Posso venire a casa sua?»
«No», risposi meccanicamente.
«Non tratta mai di lavoro a casa?»
«Non quando posso evitarlo.»
«È molto sospettosa...»
«Sempre.»
«Possiamo incontrarci da qualche altra parte? C'è qualcuno che voglio farle conoscere.»
«Chi? E perché?»
«Il nome non le direbbe nulla.»
«Ci provi.»
«Mr. Oliver.»
«Questo è il cognome. E il nome?»
«Non lo so.»
«Okay. Allora perché dovrei incontrarlo?»
«Ha un buon piano per eliminare il Master della Città.»
«E sarebbe?»
«No, non al telefono. Credo sia meglio che Mr. Oliver le spieghi tutto personalmente. E molto più persuasivo di me.»
«Finora lei se la sta cavando bene...»
«Allora possiamo incontrarci?»
«Sicuro. Perché no?»
«Fantastico! Sa dov'è Arnold?»
«Sì.»
«Poco fuori Arnold, sulla Tesson Ferry Road, c'è un laghetto per la pesca. Lo conosce?»
Mi sembrava di esserci passata mentre andavo nel luogo in cui erano state trovate le vittime dei vampiri. Tutte le strade portavano ad Arnold? «Lo troverò.»
«Fra quanto potrà esserci?»
«Tra un'ora.»
«Magnifico! L'aspetto, allora...»
«Ci sarà anche Mr. Oliver?»
«No, l'accompagnerò io da lui.»
«Perché tanta segretezza?»
«Nessuna segretezza.» Inger abbassò la voce, imbarazzato. «Non sono molto bravo a dare indicazioni. Mi sarà più facile accompagnarla.»
«Potrei seguirla con la mia auto...»
«Be', Ms. Blake... Ho la sensazione che lei non si fidi di me...»
«Non mi fido di nessuno, Mr. Inger. Niente di personale.»
«Non si fida neppure di chi le ha salvato la vita?»
«No.»
Lasciò perdere, e probabilmente fu meglio così. «Allora ci vediamo al laghetto tra un'ora...»
«Certo.»
«Grazie, Ms. Blake.»
«Di nulla. Anzi sono in debito con lei, come si è premurato di farmi notare.»
«Mi sembra che si tenga sulla difensiva, Ms. Blake. Non intendevo offenderla.»
Sospirai. «Non sono offesa, Mr. Inger. Non mi piace essere in debito con qualcuno.»
«La visita a Mr. Oliver pareggerà del tutto il conto. Glielo prometto.»
«La prendo in parola, Mr. Inger.»
«Ci vediamo tra un'ora.»
«Non mancherò.»
Non appena ebbi riagganciato, mi resi conto con una certa irritazione che non avevo ancora messo nulla sotto i denti. Sarei stata costretta a mangiare qualcosa al volo lungo la strada e io odio mangiare in macchina. D'altronde, cosa può mai essere un po' di disagio quando si tratta di un amico, o di qualcuno che ti ha salvato la vita? Perché mi preoccupava tanto essere in debito con Inger?
Perché era un fanatico di estrema destra, e a me non piace avere rapporti coi fanatici. Di sicuro non mi piaceva affatto dovere la vita a uno di loro.
Comunque l'avrei incontrato, e poi saremmo stati pari. Lo aveva detto lui. Perché allora non ci credevo?
29
Il Chip-Away Lake era un lago artificiale di circa mezzo acro, accanto al quale c'era un capanno in cui si vendevano esche e cibo, circondato da un parcheggio ghiaiata. Vicino alla strada era parcheggiata un'auto ultimo modello su cui c'era il cartello IN VENDITA. Una combinazione di pesca a pagamento e rivendita di macchine usate... geniale.
A destra del parcheggio c'era un prato, con una piccola baracca sbilenca e i resti di quello che sembrava un enorme barbecue. Il prato era orlato da alberi che salivano verso una collina boscosa. Il Meramec River scorreva a sinistra del laghetto. Era strano vedere un corso d'acqua naturale così vicino a un lago artificiale.
In quel freddo pomeriggio autunnale, soltanto tre vetture occupavano il parcheggio. Accanto a una lustra Chrysler Le Baron borgogna stava Inger. Alcuni pescatori si erano raggnippati e avevano gettato le lenze. La pesca doveva essere un bell'incentivo per esporsi al freddo.
Parcheggiai accanto all'auto di Inger, che mi si avvicinò, sorridendo, e mi offrì la mano. Pareva un agente immobiliare, felice che fossi andata a vedere la proprietà. Qualunque merce vendesse, non ero intenzionata a comprare. Ne ero quasi sicura.
«Ms. Blake! Sono lieto che abbia accettato!» Strinse la mia mano con entrambe le sue. Cordiale, allegro e falso.
«Cosa vuole, Mr. Inger?»
Il suo sorriso sbiadì. «Non capisco cosa intende, Ms. Blake...»
«Sì, che capisce.»
«No, davvero.»
Scrutai il suo viso perplesso. Forse conosco troppi stronzi, e tendo a dimenticare che non tutti, al mondo, sono stronzi. D'altra parte, ad aspettarsi sempre il peggio, si risparmiano tempo ed energie. «Mi dispiace, Mr. Inger. Il fatto è che... Passo troppo tempo a dare la caccia ai criminali, e questo mi rende cinica.»
Lui sembrava ancora perplesso.
«Non importa, Mr. Inger. Mi porti da questo Oliver.»
«Da Mr. Oliver?»
«Sicuro.»
«Prendiamo la mia macchina?» domandò, indicando la Chrysler.
«La seguo con la mia.»
«Dunque non si fida di me...» Sembrava sconfortato. Suppongo che la maggior parte della gente non sia abituata a essere sospettata di qualche malefatta prima di averne commessa una. La legge dice che tutti sono innocenti fino a prova contraria, ma la verità è che, se si ha esperienza del dolore e della morte, tutti sono colpevoli fino a prova contraria.
«D'accordo. Guidi pure lei.»
Improvvisamente pareva compiaciuto.
Avevo due pugnali, tre crocifissi e una pistola. Innocente o colpevole che fosse, ero pronta. Non prevedevo di aver bisogno dell'artiglieria con Mr. Oliver, ma in seguito... Sì, avrei potuto averne bisogno in seguito. In quel periodo, bisognava essere armati fino ai denti, pronti per le prede più grosse, come i draghi o i vampiri.
30
Inger percorse la Old Highway 21 fino a East Rock Creek: una strada stretta e tortuosa che consentiva a malapena a due macchine d'incrociarsi. Guidava abbastanza lentamente per affrontare le curve senza pericolo, ma abbastanza velocemente perché non mi annoiassi.
Tra le vecchie fattorie c'erano zone residenziali di recente costruzione, dove la terra era rossa e scorticata come una ferita. Inger imboccò il vialetto che conduceva a una delle nuove zone residenziali, formata di grandi case lussuose, molto moderne. Giovani, esili alberi, sostenuti da pali, fiancheggiavano il viale ghiaiate, miseri e tremanti nel vento autunnale, con poche foglie che sembravano sorprese di essere ancora aggrappate ai rami sottili come ragnatele. Prima che i bulldozer abbattessero le piante, quella era stata una zona boscosa. Perché gli speculatori abbattono tutti gli alberi adulti per poi piantarne di giovani che diventano belli soltanto dopo qualche decennio? Mah!
Ci fermammo davanti a una casa di tronchi, simile a quelle dei pionieri, ma più grande di qualunque casa dei pionieri. C'erano troppe finestre e il cortile color ruggine era spoglio. La ghiaia bianca del vialetto doveva essere stata portata da chissà dove, visto che tutta la ghiaia della zona era rossa come la terra.
Inger fece per girare intorno alla macchina, immagino per aprirmi la portiera, ma io l'aprii da sola e il fatto sembrò sconcertarlo un poco. Non ho mai capito perché una donna sana non possa aprirsi la portiera da sola, soprattutto se l'uomo deve girare tutt'intorno alla vettura, mentre lei se ne sta seduta ad aspettare come... un'invalida.
Precedendomi, Inger salì i gradini del portico. Era un bel portico, abbastanza largo per starci seduti nelle sere d'estate, però appariva completamente disadorno. Su di esso si affacciava una larga finestra, chiusa da tende rosso mattone decorate con un motivo a ruote di carro. Molto rustico.
Inger bussò alla porta in legno scolpito, con al centro, in alto, un luccicante vetro istoriato che serviva più per abbellire che come spioncino. Non aspettò che qualcuno ci aprisse. Infilò una chiave nella serratura, la girò ed entrò. Ma, se non si aspettava una risposta, perché aveva bussato?
La casa era immersa nella penombra creata dalle belle tende che schermavano la luce del sole, densa come sciroppo. Il pavimento era di legno lucido. Il caminetto era grande ma spento, con la mensola disadorna. Aleggiava un odore di nuovo, di non usato; lo stesso odore dei giocattoli a Natale. Inger imboccò un corridoio rivestito di boiserie, e io lo seguii, fissando la sua schiena larga. Lui non si girò neppure a guardare per accertarsi che lo seguissi. A quanto pareva, dopo avermi visto aprire la portiera, aveva deciso che non era più necessaria nessuna cortesia.
Mi stava benissimo.
Lungo il corridoio c'erano porte, disposte ad ampi intervalli. Inger bussò alla terza sulla sinistra e una voce disse: «Avanti».
Inger aprì e varcò la soglia, poi si scostò e mi tenne aperta la porta, immobile, con la schiena eretta, non per cortesia, ma come un soldato sull'attenti. Chi c'era nella stanza? Qualcuno che lo comandava a bacchetta, senza dubbio. Be', avevo solo un modo per scoprirlo.
Entrai.
Scorsi una fila di finestre, chiuse da tende pesanti. Un sottile raggio di sole cadeva nella stanza, tagliando a metà una larga scrivania ordinata, dietro la quale sedeva un uomo.
Era piccolo, quasi un nano. Avrei detto che lo era proprio, se avesse avuto la testa grossa e le braccia corte. Invece sembrava perfettamente proporzionato nel suo completo su misura. Era quasi privo di mento e aveva una fronte sfuggente, che accentuava il naso largo e l'arcata sopraccigliare prominente. Il suo volto aveva qualcosa di familiare, come se lo avessi già visto da qualche parte. Eppure ero sicura di non avere mai incontrato nessuno che gli somigliasse. Aveva un viso molto insolito.
Mi accorsi di fissarlo, ne fui imbarazzata e non mi piacque. Incontrai il suo sguardo. Gli occhi erano marroni, sorridenti. I capelli scuri erano perfettamente curati, di certo da un abile e carissimo parrucchiere. Seduto sulla sedia dietro la scrivania lucida e pulita, l'uomo mi sorrise.
«Mr. Oliver... Le presento Anita Blake», disse Inger, sempre impalato accanto alla porta.
L'ometto si alzò e girò intorno alla scrivania per offrirmi la sua manina ben proporzionata. Era alto un metro e venti, non di più. La sua stretta di mano era salda e molto vigorosa. Fu breve, però mi trasmise la forza della sua piccola corporatura. Non sembrava muscoloso, eppure un vigore tranquillo traspariva dal suo viso, dalla sua stretta, dal suo portamento. Era piccolo, tuttavia non lo considerava un difetto, anzi ne era contento, ne ero certa. Ed ero pure d'accordo.
Mi sorrise senza scoprire i denti e tornò a sedersi. Inger portò una sedia di fronte alla scrivania e io mi ci accomodai. Poi Inger rimase in piedi accanto alla porta, che nel frattempo aveva chiuso. Era decisamente sull'attenti, in segno di rispetto per l'uomo alla scrivania. Quanto a me, ero ben disposta nei suoi confronti; una novità, per me, sempre più incline alla diffidenza immediata che alla simpatia.
Mi resi conto di sorridere e di sentirmi a mio agio con quello sconosciuto, come se fosse stato uno zio prediletto e fidato. Aggrottai la fronte. Cosa diavolo mi stava succedendo?
«Che succede?» dissi.
Lui sorrise, gli occhi scintillanti di cordialità. «A che cosa allude, Ms. Blake?» La sua voce era morbida, bassa, densa come la panna nel caffè... se ne poteva quasi sentire il sapore. Un calore confortante che saliva fino alle orecchie. Conoscevo soltanto un'altra voce simile a quella.
Fissai il sottile raggio di sole a pochi centimetri dal braccio di Oliver. Era pieno giorno. Era impossibile... Oppure no?
Fissai il viso dell'uomo. Era animato, vivo. Non presentava traccia di quell'alterità che tradisce i vampiri. Eppure nella sua voce e nella sua capacità di farmi sentire perfettamente a mio agio non c'era nulla di naturale. Non mi era mai capitato che qualcuno mi sembrasse subito simpatico e fidato, e quella non sarebbe stata la prima volta. «Bravo», dissi. «Molto bravo.»
«Cosa intende, Ms. Blake?» Nella calda morbidezza della sua voce ci si poteva raggomitolare e avvolgere, come nella propria coperta preferita.
«La smetta.»
Lui mi guardò come se fosse confuso. La recita era perfetta, e io capii perché. Non era una recita. Avevo incontrato vampiri antichi, però nessuno era riuscito a farsi passare per umano con tanta facilità. Poteva andare ovunque: nessuno lo avrebbe scoperto. Be', quasi nessuno...
«Mi creda, Ms. Blake... Non sto cercando di fare niente.»
Deglutii. Era vero? Era così potente da creare in modo inconsapevole le illusioni mentali e vocali? No, se Jean-Claude riusciva a controllare quel potere, allora anche lui era in grado di farlo.
«La smetta con le illusioni, okay? Se vuol parlare d'affari, parliamo. Ma la pianti coi giochetti.»
Il suo sorriso si allargò, tuttavia non abbastanza da rivelare le zanne. Senza dubbio, dopo varie centinaia di anni, si diventa molto bravi a sorridere così.
D'improvviso lui rise e fu un suono meraviglioso, come acqua calda che precipita da una grande altezza. In quella risata ci si poteva tuffare e bagnare, sentendosi magnificamente.
«Basta! La smetta!»
Le zanne lampeggiarono e la risata si spense. «Non sono i marchi del vampiro che le permettono di non lasciarsi ingannare dai miei... Come li ha chiamati? Ah, sì, 'giochetti'... È un talento naturale, vero?»
«Sì, lo possiedono molti risveglianti.»
«Ma non sviluppato quanto il suo, Ms. Blake. Anche lei ha il potere. Lo sento scivolare sulla mia pelle. Lei è una negromante.»
Avrei voluto negarlo, ma tacqui. Mentire su una cosa del genere sarebbe stato inutile. Lui era più antico di qualunque cosa avessi mai sognato, più antico di qualunque incubo avessi mai avuto. Però non mi faceva dolere le ossa. Anzi mi faceva sentire bene, meglio di Jean-Claude, meglio di qualsiasi altra cosa.
«Potevo essere una negromante, ma ho scelto diversamente.»
«No, Ms. Blake. I morti le rispondono. Tutti i morti. Persino io sento l'attrazione.»
«Vuol forse dire che ho una specie di potere anche sui vampiri?»
«Se imparasse a disciplinare le sue facoltà, Ms. Blake... Sì, lei ha un certo potere su tutti i morti nelle loro numerose forme.»
Avrei voluto chiedergli come avrei potuto fare, ma tacqui. Era improbabile che un Master mi aiutasse a ottenere potere sui suoi seguaci. «Si sta burlando di me...»
«Le assicuro, Ms. Blake, che sono molto serio. È il suo potere latente che ha attirato su di lei l'interesse del Master della Città. Lui vuole controllare questo potere emergente, per il timore che possa volgersi contro di lui.»
«Come lo sa?»
«Lo sento attraverso i marchi che ha imposto su di lei.»
Lo fissai. Poteva sentire Jean-Claude! «Cosa vuole da me?»
«È molto diretta... Mi piace. Le vite umane sono troppo brevi per sprecarle con le bazzecole.»
Era forse una minaccia? Scrutai il suo viso sorridente, ma non riuscii a capirlo. I suoi occhi scintillavano ancora, e io mi sentivo ancora perfettamente a mio agio. Il contatto visivo? Sapevo che non era soltanto quello. Abbassai lo sguardo alla scrivania e mi sentii meglio, o forse peggio, perché così ero vulnerabile alla paura.
«Inger mi ha detto che lei ha un piano per eliminare il Master della Città... Di che si tratta?» Continuavo a fissare la scrivania, ma rabbrividivo per il desiderio di alzare lo sguardo a incontrare il suo, lasciandomi travolgere dalla sua affettuosa cordialità, che avrebbe reso più facile ogni decisione. Scossi la testa. «Se non rimane fuori della mia mente, questo colloquio è finito.»
Lui rise di nuovo, cordiale, vivo, facendomi accapponare la pelle. «È davvero molto brava! Negli ultimi secoli non ho incontrato nessun umano in grado di rivaleggiare con lei. Una negromante... Si rende conto di quanto sia raro questo talento?»
In realtà non me ne rendevo conto affatto, però dissi: «Sì».
«Lei sta mentendo, Ms. Blake... A me? Suvvia...»
«Non siamo qui per parlare di me. Mi spieghi qual è il suo piano, altrimenti me ne vado.»
«Sono io il piano, Ms. Blake. Lei stessa può percepire i miei poteri, il flusso e il riflusso di più secoli di quanti il suo piccolo Master abbia mai sognato. Io sono più antico del tempo.»
Non gli credetti, ma rimasi zitta. Era davvero antico, e io non avevo nessuna intenzione di discutere con lui, se potevo farne a meno.
«Mi consegni il suo Master e io la libererò dai suoi marchi.»
Alzai lo sguardo, affrettandomi però ad abbassarlo nuovamente. Lui continuava a sorridere, ma il sorriso non era più autentico... Era finto, come tutto il resto. Una finzione eccellente. «Se può sentire il mio Master attraverso i marchi, non può trovarlo lei stesso?»
«Sento il suo potere e posso giudicare se e quanto sia degno, come nemico, però non sento il suo nome, né dove riposa.» La sua voce era molto seria. Non stava cercando d'ingannarmi, o almeno non credevo che lo stesse facendo. Ma forse anche quello era un trucco.
«Insomma, che vuole da me?»
«Il suo nome e l'ubicazione del rifugio in cui riposa durante il giorno.»
«Ignoro dove sia il rifugio.» Sapendo che fiutava qualsiasi menzogna, fui lieta di poter dire la verità.
«Allora il suo nome... Mi dica il suo nome.»
«Perché?»
«Perché io voglio essere il Master della Città, Ms. Blake.»
«Perché?»
«Quante domande... Non le basta sapere che la libererei dal suo potere?»
Scossi la testa. «No.»
«Perché si preoccupa di quello che potrebbe succedere ad altri vampiri?»
«Non mi preoccupo affatto. Tuttavia, prima di offrirle il potere di controllare tutti i vampiri della zona, mi piacerebbe sapere che cosa intende farne.»
Lui rise di nuovo, e stavolta fu soltanto una risata. Ci stava provando. «Lei è l'umana più ostinata che io abbia incontrato da molto tempo. E a me piace la gente ostinata, perché ottiene quello che vuole.»
«Risponda alla mia domanda.»
«Credo che sia sbagliato che i vampiri abbiano gli stessi diritti degli umani. Vorrei riportare le cose come stavano un tempo.»
«Perché vuole che i vampiri siano di nuovo cacciati come belve?»
«Sono troppo potenti. Bisogna impedire che si moltiplichino liberamente. La nuova legislazione e il diritto di voto permetteranno ai vampiri di conquistare il dominio sulla razza umana più rapidamente di quanto potrebbero mai fare attraverso la violenza.»
Ripensai alla Chiesa della Vita Eterna, che praticava la religione dei vampiri. In effetti si stava diffondendo più di qualunque altra Chiesa del Paese. «Ammettiamo che lei abbia ragione... Come si propone d'impedirlo?»
«Facendo in modo che ai vampiri sia negato qualunque diritto, incluso quello di voto.»
«Ci sono altri Master in città...»
«Si riferisce a Malcolm, il capo della Chiesa della Vita Eterna?»
«Sì.»
«L'ho osservato. Non potrà continuare da solo la crociata per ottenere il completo riconoscimento dei diritti dei vampiri. Io glielo impedirò e distruggerò la sua Chiesa. Sicuramente si rende conto anche lei, come me, che la Chiesa è il pericolo maggiore...»
Me ne rendevo conto benissimo, però detestavo dichiararmi d'accordo con un Master. In qualche modo, mi sembrava sbagliato.
«St. Louis brulica di attività politica e imprenditoriale da parte dei vampiri. Ebbene, tutto ciò deve finire. Noi siamo predatori, Ms. Blake. Nulla può cambiare questa realtà. Dobbiamo tornare a essere cacciati, proprio come lo eravamo un tempo, altrimenti la razza umana sarà condannata. Sicuramente lo capisce anche lei...»
Lo capivo e ci credevo. «E perché la preoccupa che la razza umana sia condannata? Lei, ormai, non ne fa più parte.»
«Sono il più antico di tutti i vampiri, quindi è mio dovere fare in modo che i miei simili non divengano troppo numerosi, Ms. Blake. L'organizzazione per il riconoscimento dei loro diritti sta sfuggendo a ogni controllo e deve essere fermata. Siamo troppo potenti perché ci sia concessa una tale libertà. Gli umani hanno il diritto di essere umani. Ai vecchi tempi sopravvivevano soltanto i vampiri più forti e più intelligenti oppure quelli più fortunati. Gli umani cacciatori di vampiri eliminavano gli stupidi, gli imprudenti, i violenti. Ho paura di quello che potrebbe succedere tra pochi decenni senza questo sistema di selezione e di controllo.»
Ne convenivo con tutto il cuore. Era uno scenario abbastanza spaventoso. Insomma mi trovavo d'accordo con la cosa vivente più antica che avessi mai incontrato. Ma potevo - dovevo - consegnargli Jean-Claude? «Sono d'accordo con lei, Mr. Oliver... Tuttavia non posso davvero consegnarle il Master, almeno non così. In verità, non so perché... Non posso e basta.»
«Lei è leale, Ms. Blake. È una qualità che ammiro. Ci rifletta, allora, ma non troppo a lungo. Devo mettere in atto il mio piano al più presto possibile.»
«Capisco. Io... Le risponderò tra un paio di giorni. Come potrò contattarla?»
«Inger le consegnerà un biglietto da visita con un numero telefonico. Potrà parlare senza pericolo, sia con lui sia con me.»
Mi girai a guardare Inger, sempre sull'attenti accanto alla porta. «È il suo servo umano, vero?»
«Ho questo onore», rispose Inger.
Scossi la testa. «Adesso devo andare.»
«Non si rammarichi di non essere riuscita a riconoscere in Inger il mio servo umano. Non è evidente... Se tutti sapessero che i nostri servi ci appartengono, come potrebbero essere le nostre mani, le nostre orecchie, i nostri occhi umani?»
Un punto per lui. Mi alzai.
Lui fece altrettanto e mi offrì la mano.
«Mi scusi, ma il contatto fisico facilita l'intrusione mentale.»
La mano ricadde. «Non ho bisogno del contatto per entrare nella sua mente e influenzarla, Ms. Blake.» La sua voce era meravigliosa, scintillante e luminosa come la mattina di Natale.
Mi si strinse la gola e lacrime calde mi colmarono gli occhi.
Indietreggiai fino alla porta, che Inger mi aprì. Intendevano lasciarmi andare. Il vampiro non voleva estorcermi il nome del Master stuprando la mia mente. Intendeva davvero lasciarmi andare. Fu soprattutto quest'ultimo fatto a convincermi che Oliver era uno dei buoni. Avrebbe potuto spremermi e prosciugarmi la mente, invece mi aveva lasciato andare.
Inger chiuse la porta alle nostre spalle, lentamente, con reverenza.
«Quanto è antico?» chiesi.
«Non è riuscita a capirlo?»
«Quanto è antico?» ripetei.
Inger sorrise. «Io ho più di settecento anni. Mr. Oliver era già antico quando l'ho incontrato.»
«Ha molto più di mille anni.»
«Come può dirlo?»
«Ho incontrato una vampira che aveva poco più di mille anni. Faceva paura, ma non aveva questo potere.»
Lui sorrise. «Se desidera conoscere la sua vera età, allora deve chiederlo a lui.»
Scrutai il viso sorridente di Inger e rammentai dove avevo già visto una faccia come quella di Oliver. Era stato all'università, durante il corso di antropologia. Si trattava di un disegno che raffigurava la testa di un Homo erectus. Quindi Oliver doveva avere circa un milione di anni. «Mio Dio...»
«Qualcosa non va, Ms. Blake?»
«Non può essere tanto antico...»
«Quanto antico?»
Mi rifiutai di esprimere a voce il pensiero, come se ciò potesse renderlo reale. Un milione di anni... Quanto poteva diventare potente, un vampiro, in un milione di anni?
Una donna ci venne incontro nel corridoio. Camminava ancheggiando a piedi nudi, con le unghie laccate di rosso scarlatto, come quelle delle mani. Indossava una veste, trattenuta da una cintura; aveva lo stesso colore dello smalto. Le gambe erano lunghe e pallide, ma aveva quel genere di pallore che prometteva, dopo un'adeguata esposizione al sole, una bella abbronzatura. I capelli ricadevano oltre la cintura, folti e nerissimi. Il trucco era perfetto, le labbra scarlatte. Mi sorrise, mostrando zanne che scendevano fin sotto le labbra.
Però non era una vampira. Non sapevo che cosa diavolo fosse, però sapevo che non era una vampira. Lanciai un'occhiata a Inger, che non sembrava contento di quell'incontro. «Non dovremmo andare?» chiesi.
«Sì», rispose lui. Indietreggiò verso la porta principale e io lo imitai, indietreggiando a mia volta. Nessuno di noi due distolse lo sguardo dalla bellezza zannuta che percorreva furtivamente il corridoio nella nostra direzione.
D'un tratto, la donna prese a correre in modo così fluido e veloce che la vista poteva seguirla a stento. I licantropi si muovono in quel modo, però lei non era nemmeno una licantropa.
Girò intorno a Inger e proseguì verso di me. Smisi di fare l'indifferente e cominciai a correre all'indietro verso la porta, ma lei era troppo veloce. Lo sarebbe stata per qualsiasi essere umano.
Mi afferrò l'avambraccio destro e, sentendo la guaina del pugnale, assunse un'aria perplessa. Sembrava non capire che cosa fosse.
«Cosa sei?» La mia voce suonò calma, per nulla spaventata. Sono o non sono la grande cacciatrice di vampiri?
Lei aprì la bocca, accarezzandosi le zanne con la lingua. Erano più lunghe di quelle dei vampiri. Non poteva nasconderle neppure con la bocca chiusa.
«Dove vanno le zanne quando chiudi la bocca?» sibilai.
Lei mi fissò, battendo le palpebre, e il suo sorriso scomparve. Si passò di nuovo la lingua sulle zanne, prima di farle scomparire nel palato.
«Zanne retrattili...» commentai. «Niente male!»
«Sono contenta che lo spettacolo ti sia piaciuto, ma c'è ancora molto da vedere...» replicò lei, serissima. Le zanne spuntarono di nuovo. Spalancò la bocca e le zanne luccicarono nei fiochi raggi di sole che filtravano attraverso le tende.
«Mr. Oliver non sarà contento, se la minacci», disse Inger.
«Sta diventando debole e sentimentale.» Lei mi conficcò le dita nel braccio con una forza che non avrebbe dovuto avere. Mi bloccava il braccio destro per impedirmi di sfoderare la pistola. Non potevo raggiungere neppure i pugnali.
D'un tratto, emise un sibilo violento, esplosivo, che nessuna gola umana avrebbe potuto produrre, e fece guizzare una lingua biforcuta.
«Cristo! Ma cosa sei?»
Lei rise, ma fu una risata stonata, forse a causa della lingua biforcuta. Mentre la guardavo, le pupille si ridussero a due fessure e le iridi assunsero un colore dorato.
Cercai di liberare il braccio, ma le sue dita erano d'acciaio. Mi gettai sul pavimento. Lei mi assecondò senza lasciarmi.
Mi girai sul fianco sinistro, raccolsi le gambe e, con tutta la forza che avevo, le tirai un calcio sotto la rotula destra. La gamba si piegò e lei cadde con uno strillo, però non mi lasciò andare.
Poi qualcosa accadde alle sue gambe... Sembrarono unirsi e fondersi. Non avevo mai visto nulla del genere, e non avrei voluto vederlo neanche in quel momento.
«Melanie... Che stai facendo?» La voce era dietro di noi. Oliver stava nel corridoio, a breve distanza dallo studio. La sua voce era come roccia che frana, come un albero gigantesco che si schianta. Era una tempesta di parole che sembrava fendere e squarciare.
La cosa sul pavimento si mosse, come se volesse fuggire per difendersi dalla voce del vampiro. Le sue gambe stavano diventando serpentine... Era un rettile di qualche genere.
Fu allora che compresi. «È una lamia...» mormorai, indietreggiando. Addossata alla porta, afferrai la maniglia. «Credevo che fossero estinte...»
«Lei è l'ultima», spiegò Oliver. «La tengo con me perché temo quello che potrebbe fare se lasciata in balia dei suoi desideri.»
«La creatura che può chiamare...» chiesi. «Qual è?»
Lui sospirò, e io sentii in quel sospiro secoli di tristezza. Era un rammarico troppo profondo per essere espresso a parole. «I serpenti... Posso chiamare i serpenti.»
«Ah, certo...» Aprii la porta e, camminando all'indietro, uscii nel portico soleggiato. Nessuno mi fermò.
La porta si chiuse alle mie spalle e, qualche istante dopo, Inger uscì, fremente di collera. «Voglio scusarmi per lei. È un animale...»
«Oliver dovrebbe tenerla al guinzaglio. Un guinzaglio corto.»
«Ci prova.»
Sapevo che cosa significava provare. Potevo anche fare del mio meglio, ma qualunque essere in grado di dominare una lamia avrebbe potuto manipolare la mia mente senza che me ne accorgessi. Quanta parte della mia fiducia era autentica, e quanta era indotta da Oliver?
«La riaccompagno.»
«Sì, grazie.»
E così ce ne andammo. Avevo incontrato la mia prima lamia e forse l'essere vivente più antico del mondo. Be', se non altro, quello era un giorno dannatamente memorabile!
31
Mentre aprivo la porta dell'appartamento, sentii il telefono che suonava. Spalancai la porta con una spallata e corsi a rispondere. Sollevai il ricevitore al quinto squillo e quasi gridai: «Pronto!»
«Anita?» chiese Ronnie.
«Sì, sono io.»
«Sembri senza fiato...»
«Ho dovuto correre per arrivare in tempo a rispondere. Che c'è?»
«Mi sono ricordata dove ho conosciuto Cal Rupert.»
Mi ci volle qualche istante per capire di chi stava parlando. Era la prima vittima dei vampiri. Avevo quasi dimenticato che era in corso un'indagine per omicidio. «Dimmi, Ronnie.»
«L'anno scórso ho lavorato per uno studio legale, qui in città. Uno degli avvocati era specializzato nella redazione dei testamenti.»
«So che Rupert ne ha lasciato uno. Ecco perché ho potuto eliminarlo senza attendere il mandato.»
«Sai che anche Reba Baker ha lasciato un testamento redatto dallo stesso avvocato?»
«Chi è Reba Baker?»
«Potrebbe essere la seconda vittima.»
Mi si strinse lo stomaco. Quello era un indizio, un autentico indizio. «Cosa te lo fa credere?»
«Reba Baker era giovane e bionda. Non si è presentata a un appuntamento, non risponde al telefono, e manca al lavoro da due giorni.»
«Cioè da quando potrebbe essere stata uccisa...»
«Già.»
«Chiama il sergente Rudolph Storr e riferiscigli quello che hai appena detto a me. Fa' il mio nome per contattarlo.»
«Non vuoi che controlliamo noi?»
«Assolutamente no. Questo è compito dei poliziotti. Devono pur guadagnarsi la paga, no?»
«Non sei affatto divertente.»
«Ronnie... Chiama Dolph e lascia che se ne occupi la polizia. Mi sono scontrata coi vampiri che stanno ammazzando questa gente e ti assicuro che non sarebbe affatto divertente se diventassimo noi i loro bersagli.»
«Tu... Come?»
Sospirai. Avevo dimenticato che Ronnie non sapeva ancora niente. Le riferii l'accaduto nella maniera più concisa e chiara possibile. «Ti spiegherò meglio quando ci vedremo, sabato mattina.»
«Stai bene?»
«Finora sì.»
«Guardati le spalle, okay?»
«Sempre. E anche tu.»
«A quanto pare, c'è sempre più gente che ce l'ha con te che con me...»
«Dovresti esserne grata.»
«Lo sono.» Ronnie riappese.
Avevamo un indizio, forse persino un piano... Se si escludeva l'aggressione che avevo subito, la quale non rientrava in nessun piano. Avevano aggredito me per arrivare a Jean-Claude. Tutti ce l'avevano con Jean-Claude. Il guaio era che non si poteva abdicare. Si poteva soltanto morire. Mi era piaciuto quello che aveva detto Oliver; ero d'accordo con lui. Ma potevo sacrificare Jean-Claude sull'altare del buon senso? Non lo sapevo.
32
L'ufficio di Bert era piccolo e azzurro. Lui pensava che quella tinta rilassasse i clienti; io ero convinta che raggelasse l'ambiente. Comunque si adattava a Bert. È alto più di un metro e novanta, con le spalle larghe e la corporatura da atleta. Il suo stomaco sta cominciando a spostarsi un po' troppo a sud per il troppo cibo e il troppo poco esercizio, ma lui lo porta bene nei suoi completi da settecento dollari. Con quello che costano, quei completi dovrebbero ospitare almeno il Taj Mahal.
È abbronzato, con gli occhi grigi e i capelli corti e bianchi, ma non per l'età. È il loro colore naturale.
Io sedevo di fronte alla sua scrivania. Ero in abiti da lavoro: gonna rossa, giacca dello stesso colore, e una camicetta così tendente al rosso scarlatto che avevo dovuto truccarmi un po' per evitare che la mia faccia sembrasse quella di uno spettro. La giacca era tagliata in modo da nascondere la fondina ascellare.
Larry sedeva accanto a me. Indossava un completo azzurro con camicia bianca e cravatta dello stesso azzurro del completo. Intorno ai punti, sulla fronte, aveva un livido multicolore che i capelli rossi non riuscivano a nascondere. Sembrava che qualcuno lo avesse colpito in testa con una mazza da baseball.
«Hai rischiato di farlo ammazzare, Bert», dissi.
«Non correva nessun pericolo prima che arrivassi tu. I vampiri volevano te, non lui.»
Aveva ragione, e ciò non mi piaceva affatto. «Ha cercato di resuscitare il suo terzo zombie.»
Gli occhietti freddi di Bert s'illuminarono. «Riesci a farne tre in una notte?»
Larry ebbe la decenza di mostrarsi imbarazzato. «Quasi...»
Bert si accigliò. «Che significa 'quasi'?»
«Significa che lo ha resuscitato, ma poi non è riuscito a controllarlo. Se non fossi arrivata appena in tempo per sistemare le cose, adesso avremmo a che fare con uno zombie scatenato.»
Bert si curvò in avanti, con le mani intrecciate sulla scrivania e gli occhietti molto seri. «E vero, Larry?»
«Temo di sì, Mr. Vaughn.»
«Questa potrebbe essere una faccenda molto grave, Larry... Lo capisci?»
«Grave?» esclamai. «Sarebbe stato un massacro spaventoso! Lo zombie poteva divorare uno dei nostri clienti!»
«Andiamo, Anita... Non c'è motivo di spaventare il ragazzo...»
Mi alzai. «Invece c'è.»
Bert si accigliò. «Se tu non fossi arrivata in ritardo, lui non avrebbe tentato di resuscitare l'ultimo zombie.»
«No. Non puoi dare a me la colpa di quello che è successo. Sei stato tu a mandarlo da solo a fare il suo primo lavoro. Da solo, Bert.»
«E lui se l'è cavata bene», borbottò il mio capo.
Mi sforzai di non gridare perché sapevo che non sarebbe servito. «Bert... E uno studente universitario di vent'anni. Questo, per lui, è soltanto un... corso. Se tu l'avessi fatto ammazzare, l'agenzia non ci avrebbe certo fatto una gran bella figura.»
«Posso dire una cosa?» chiese Larry.
«No», sibilai
«Certo», lo incitò Bert.
«Sono cresciuto. So badare a me stesso.»
Avrei voluto oppormi, però guardai nei suoi occhi sinceri e non ne fui capace. Aveva vent'anni. Ricordavo com'era avere vent'anni. A quell'età, ero convinta di sapere tutto. Mi ci era voluto un altro anno per capire che non sapevo niente. Stavo ancora sperando d'imparare qualcosa prima di arrivare ai trenta, ma non trattenevo il fiato nell'attesa.
«Quanti anni avevi quando hai cominciato a lavorare per me?» mi chiese Bert.
«Come?»
«Quanti anni avevi?»
«Ventuno. Ero appena laureata.»
«Larry... Quando compirai ventun anni?» chiese Bert.
«A marzo.»
«Come vedi, Anita, ha soltanto pochi mesi in meno di quanti ne avevi tu. Insomma, ha la stessa età che avevi tu quando hai cominciato.»
«Per me è stato diverso.»
«Perché?» chiese Bert.
Non ero in grado di spiegarlo. Larry aveva ancora i nonni, non aveva mai conosciuto direttamente la morte e la violenza. Io invece, alla sua età, sì. Lui era ancora innocente, mentre io non lo ero più da anni. Ma come potevo spiegare tutto ciò a Bert senza ferire i sentimenti di Larry? A nessun maschio di vent'anni piace sentir dire che una donna ha molta più esperienza del mondo di quanta ne abbia lui. Certi luoghi comuni sono duri a morire. «Tu mi hai fatto lavorare con Manny, non da sola.»
«Larry doveva soltanto assisterti, ma tu avevi da fare per la polizia.»
«Questo non è giusto, Bert, e tu lo sai.»
«Se tu avessi fatto il tuo lavoro, lui non sarebbe stato solo.»
«C'erano stati due omicidi. Cosa dovevo fare? Dire ai poliziotti: 'Scusate, gente, ma devo fare la baby-sitter a un nuovo risvegliante. Mi spiace per gli omicidi, ma proprio non posso aiutarvi'?»
«Non avevo bisogno di una baby-sitter», disse Larry.
Lo ignorammo.
«Tu hai già un lavoro a tempo pieno, qui, all'Animators Inc.»
«Ne abbiamo già discusso, Bert.»
«Troppe volte.»
«Tu sei il mio capo. Fa' quello che ritieni meglio.»
«Non tentarmi.»
«Ehi, gente!» disse Larry. «Ho la sensazione che mi stiate usando come pretesto per litigare. Non lasciatevi prendere la mano, okay?»
Tutti e due gli lanciammo un'occhiataccia, ma lui tenne duro e sostenne i nostri sguardi. Un punto per lui.
«Se non ti piace come faccio il mio lavoro, Bert, licenziami pure», dissi. «Però smettila di tirare la catena.»
Bert si alzò lentamente, come un leviatano che sorge dalle onde. «Anita...»
Il telefono squillò. Tutti e tre lo fissammo per qualche istante, prima che Bert si decidesse a sollevare il ricevitore e a brontolare: «Sì... Che c'è?» Ascoltò per un po', quindi mi guardò malissimo. «È per te...» disse, con voce incredibilmente pacata. «Il sergente Storr... Faccende di polizia...» Non sorrideva.
Allungai una mano senza dire una parola. Lui mi passò il ricevitore, con gli occhietti grigi ardenti e scintillanti. Brutto segno.
«Ciao, Dolph... Che c'è?»
«Siamo nello studio dell'avvocato di cui ci ha parlato la tua amica, Veronica Sims. È stata gentile a chiamare te prima di noi.»
«Ti ha chiamato subito dopo, vero?»
«Già...»
«Cos'hai scoperto?» Non mi presi la briga di abbassare la voce. Se si è abbastanza prudenti, un'unica metà di una conversazione non è molto illuminante.
«Reba Baker è la seconda vittima. È stata identificata dalle foto del cadavere.»
«Bel modo di finire la settimana lavorativa», commentai.
Dolph ignorò la battuta. «Entrambe le vittime erano clienti dello studio e avevano lasciato un testamento secondo cui, se fossero state morse da un vampiro, avrebbero dovuto essere trafitte col paletto e poi cremate.»
«A me sembra che ci sia un piano», dissi.
«Ma come hanno fatto, i vampiri, a scoprire che ciascuno aveva lasciato simili disposizioni testamentarie?»
«Cos'è, Dolph? Una domanda trabocchetto? Glielo avrà detto qualcuno!»
«Lo so», borbottò lui.
Mi sfuggiva qualcosa. «Che vuoi da me, Dolph?»
«Ho interrogato tutti, e sarei pronto a giurare che ognuno ha detto la verità. Ti sembra possibile che qualcuno abbia passato l'informazione senza rendersene conto?»
«Ti sembra possibile che un vampiro abbia manipolato la mente dell'informatore per fargli dimenticare quello che ha fatto?»
«Già...»
«Sicuro.»
«Se fossi qui, sapresti riconoscere quello che è stato manipolato dal vampiro?»
Lanciai un'occhiata al mio capo. Se avessi saltato un'altra notte di lavoro nella stagione in cui avevamo più da fare, mi avrebbe licenziata. E quello non era uno dei giorni in cui credevo che non me ne fregasse niente. «Devi scoprire se qualcuno ha vuoti di memoria, cioè se non ricorda che cos'ha fatto in certe ore, o magari per notti intere.»
«Nient'altro?»
«Se qualcuno ha fornito informazioni ai vampiri, può darsi che non se ne rammenti, ma un bravo ipnotista sarebbe in grado di recuperare i ricordi.»
«L'avvocato non fa altro che strillare di diritti e di mandati, e noi ne abbiamo soltanto uno per perquisire gli archivi, non le menti.»
«Chiedigli se vuole essere responsabile dell'omicidio che sarà commesso stanotte. Molto probabilmente la vittima sarà uno dei suoi clienti.»
«L'avvocato è una donna.»
Avevo presunto che fosse un uomo. «Chiedile se ha voglia di dover spiegare, ai parenti del suo cliente che sta per essere ammazzato, il motivo per cui sta intralciando le indagini.»
«I clienti e i loro parenti non sapranno niente, se non saremo noi ad avvertirli.»
«Questo è vero.»
«Ehi! Sarebbe un ricatto, Ms. Blake!»
«Davvero?»
«Sicuramente sei stata una poliziotta in una delle tue vite precedenti... Sei troppo contorta.»
«Grazie del complimento.»
«Hai qualche ipnotista da raccomandarmi?»
«Alvin Thormund. Se aspetti un momento ti dico il suo numero...» Sfilai di tasca il portafoglio in cui cercavo di conservare soltanto i biglietti da visita di coloro che desideravo consultare periodicamente. Alvin ci era stato utile in diversi casi di vittime di vampiri con l'amnesia. Diedi il suo numero a Dolph.
«Grazie, Anita.»
«Tienimi al corrente, se scopri qualcosa. Potrei essere in grado d'identificare il vampiro in questione.»
«Vuoi assistere alle sedute ipnotiche?»
Lanciai un'occhiata a Bert. Appariva sempre rilassato e cordiale. Quando si comportava così, era ancora più pericoloso. «Non credo. Però registrale. Se necessario, le ascolterò in seguito.»
«'In seguito' potrebbe significare un altro cadavere. Il tuo capo ti sta di nuovo rompendo?»
«Già...»
«Vuoi che gli parli io?»
«Non credo.»
«È così bastardo?»
«Come sempre.»
«Okay, chiamo questo Thormund e registro le sedute, poi, se scopriamo qualcosa, te lo faccio sapere.»
«Lasciami un messaggio.»
«Contaci.» Dolph riagganciò, come al solito senza salutare.
Riconsegnai il ricevitore a Bert, che lo posò sull'apparecchio, scrutandomi con occhi cordialmente minacciosi. «Devi lavorare per la polizia anche stanotte?»
«No.»
«Cos'abbiamo fatto per meritare tanto onore?»
«Piantala col sarcasmo, Bert.» Mi girai verso Larry. «Sei pronto, ragazzo?»
«Quanti anni hai?» chiese lui.
Bert sorrise.
«Che importanza ha?» chiesi.
«È solo una domanda, okay?»
Scrollai le spalle. «Ventiquattro.»
«Be', visto che hai soltanto quattro anni più di me, non chiamarmi 'ragazzo'.»
Non potei fare a meno di sorridere. «Affare fatto. Adesso, però, è meglio andare. Abbiamo morti da resuscitare e soldi da guadagnare.» Lanciai un'occhiata a Bert.
Se ne stava addossato allo schienale della poltrona, con le mani dalle dita tozze intrecciate sulla pancia, e sorrideva.
Avrei voluto cancellargli il sorriso dalla faccia con un pugno, ma resistetti all'impulso. Dite quello che volete, ma l'autocontrollo proprio non mi manca.
33
Mancava un'ora all'alba. Ero rimasta in piedi per tutta la notte a insegnare a Larry come diventare un bravo risvegliante rispettoso della legge. Non ero sicura che Bert avrebbe approvato quest'ultima parte, ma io la vedevo così.
Il cimitero era piccolo: un camposanto di famiglia con qualche pretesa. Una stradina di campagna girava intorno a una collina e costeggiava uno spiazzo ghiaiato. In un attimo bisognava capire di essere arrivati e svoltare. Le lapidi si arrampicavano lungo la collina. La pendenza era così ripida da far temere che le bare scivolassero a valle.
Eravamo nell'oscurità, sotto la volta sussurrante degli alberi. Il bosco era fitto ai lati della strada e il cimitero era piccolo e ben tenuto. Se ne occupavano i membri superstiti della famiglia. Non volevo neppure immaginare come falciassero quel prato in pendenza... Forse usavano un sistema di pulegge per impedire alla falciatrice di sfuggire al controllo e procurare qualche altro cadavere.
I nostri ultimi clienti di quella notte erano appena tornati alla civiltà. Io avevo resuscitato cinque zombie e Larry uno. Sì, lui avrebbe potuto resuscitarne anche due, ma avevamo ormai esaurito la scorta di buio. Non ci vuole poi tanto a resuscitare uno zombie, almeno per me, però bisogna considerare il tempo necessario a spostarsi da un cimitero all'altro. In quattro anni, avevo avuto soltanto due zombie nello stesso cimitero la stessa notte. Di solito dovevo guidare come una pazza per arrivare in tempo agli appuntamenti.
Il carro attrezzi aveva trasportato la mia povera macchina fino a una stazione di servizio, ma i periti dell'assicurazione non l'avevano ancora vista. Ci sarebbero voluti giorni - o settimane - prima che mi dicessero che non c'era più niente da fare. Non c'era stato il tempo di noleggiare un'auto per la notte, quindi guidava Larry. Ero stata io a lamentarmi di non avere aiuti, perciò dovevo essere io a addestrarlo. Be', mi sembrava giusto.
Il vento sospirava tra le fronde. Le foglie secche scivolavano sulla strada. La notte era piena di piccoli suoni che parevano suggerire la fretta di arrivare da qualche parte. Ma dove? La notte di Ognissanti... Si sentiva Halloween nell'aria.
«Mi piacciono le notti come questa», disse Larry.
Lo guardai. Avevamo entrambi le mani in tasca e fissavamo il buio. Inoltre, tutti e due eravamo imbrattati di sangue di gallina raggrumato. Insomma, una bella seratina tranquilla.
Il mio cercapersone suonò e il bip acuto stonò nella quieta notte ventosa. Premetti il pulsante, e il suono per fortuna cessò. La luce del display rivelò un numero telefonico che non riconobbi. Sperai che non fosse Dolph, perché un numero sconosciuto a tarda notte, o di prima mattina, avrebbe significato un altro omicidio e un altro cadavere.
«Andiamo. Dobbiamo trovare un telefono.»
«Chi è?»
«Non ne sono sicura.» Cominciai a scendere la collina.
Lui mi seguì. «Chi credi che sia?»
«Forse la polizia.»
«Gli omicidi su cui stai lavorando?»
Mi girai a guardarlo e sbattei un ginocchio contro una lapide. Rimasi così per qualche secondo, trattenendo il fiato in attesa che il dolore passasse. «Merda!» sibilai.
«Tutto bene?» Larry mi toccò un braccio.
Io mi scostai e lui lasciò cadere la mano. Non sono molto favorevole al contatto casuale. «Sto benissimo.» In verità, il ginocchio mi faceva ancora male, ma dovevo trovare un telefono e, camminando, il dolore sarebbe passato. Tenni lo sguardo dritto davanti a me per evitare altre botte. «Che sai degli omicidi?»
«So soltanto che stai collaborando con la polizia a un'indagine su un crimine soprannaturale, e che questo ti distoglie dal tuo lavoro di risvegliante.»
«Te lo ha detto Bert...»
«Mr. Vaughn, sì.»
Arrivammo alla macchina. «Senti, Larry... Se vuoi lavorare per l'Animators Inc., bisogna che la smetti coi Mr. e coi Ms. Noi non siamo i tuoi professori, ma i tuoi colleghi.»
Lui sorrise in un lampeggiare di denti bianchi nel buio. «D'accordo... Anita.»
«Così va meglio. Adesso andiamo a cercare un telefono.»
Abbracciando la teoria in base alla quale il telefono più vicino era probabilmente nella città più vicina, ci recammo a Chesterfield. Trovammo alcuni telefoni pubblici nel parcheggio di una stazione di servizio chiusa. Le luci della stazione erano fioche, ma i telefoni erano proprio sotto un lampione alogeno che illuminava la notte a giorno. Falene e altri insetti danzavano nella luce. I pipistrelli che se ne nutrivano apparivano e scomparivano in danze fugaci.
Composi il numero mentre Larry aspettava in macchina. Apprezzai la sua discrezione. Il telefono squillò due volte, poi una voce rispose: «Anita... Sei tu?» Era Irving Griswold, il mio amico reporter.
«Irving! Perché diavolo mi scocci a quest'ora?»
«Jean-Claude vuole vederti stanotte. Subito.» La sua voce ansiosa sembrava incerta.
«Perché sei tu a riferirmi il messaggio?» Avevo paura che la risposta non mi sarebbe piaciuta.
«Sono un licantropo.»
«E questo che diavolo c'entra?»
«Allora non lo sapevi?» Sembrava sorpreso.
«Sapere cosa?» Cominciavo ad arrabbiarmi. Non sopporto troppe domande.
«L'animale di Jean-Claude è il lupo.»
Ecco spiegati Stephen il Licantropo e la donna nera. «Perché l'altra notte non c'eri, Irving? Ti aveva tolto il guinzaglio?»
«Sei ingiusta, Anita.»
Aveva ragione. «Scusa, Irving. È soltanto che mi sento colpevole per avervi presentati.»
«Volevo intervistare il Master della Città, e ho avuto la mia intervista.»
«Ne è valsa la pena?»
«No comment.»
«Di solito, questa è la mia battuta...»
Lui rise. «Puoi venire al Circo dei Dannati? Jean-Claude ha qualche informazione sul Master che ti ha aggredito.»
«Su Alejandro?»
«Proprio su di lui.»
«Faremo il prima possibile, ma l'alba sarà maledettamente vicina quando arriveremo a Riverfront.»
«'Faremo'? Chi?»
«Con me c'è un nuovo risvegliante che sto addestrando. Sono in macchina con lui.» Esitai. «Di' a Jean-Claude che non voglio roba dura, stanotte.»
«Diglielo tu.»
«Vigliacco.»
«Sissignora. Ci vediamo quando arrivi. Ciao.»
«Ciao, Irving.» Irving era una creatura di Jean-Claude, il quale poteva chiamare i lupi come Mr. Oliver chiamava i serpenti, e come Nikolaos aveva chiamato i ratti e i ratti marinari. Erano tutti mostri... C'era soltanto l'imbarazzo della scelta.
Scivolai nell'auto. «Volevi conoscere meglio i vampiri, vero?» chiesi, allacciando la cintura di sicurezza.
«Ma certo», rispose Larry.
«Be', stanotte ne avrai l'occasione.»
«Che vuoi dire?»
«Te lo spiegherò lungo la strada. Non abbiamo molto tempo. L'alba è vicina.»
Larry ingranò la marcia e uscì dal parcheggio. Alla luce fioca del cruscotto sembrava inquieto e soprattutto molto, molto giovane.
34
Il Circo dei Dannati era chiuso. Era ancora buio, ma si vedeva già una sfumatura di luce a est, quando parcheggiammo davanti all'ex magazzino. Soltanto un'ora prima, non avremmo trovato neanche un posto, così vicino al Circo. Ma i turisti se ne andavano quando i vampiri si ritiravano per riposare.
Lanciai un'occhiata a Larry. Aveva il viso tutto sporco di sangue raggrumato, come me. Soltanto allora mi resi conto di non avere pensato a ripulirmi. Guardai il cielo e scossi la testa. Non c'era tempo. L'alba era imminente.
I clown zannuti dell'insegna erano ancora luminosi, ma la loro danza sembrava stanca. O forse ero io, a essere stanca.
«Seguimi e fai soltanto quello che faccio io, Larry. Non dimenticare mai che sono mostri... Per quanto sembrino umani, non lo sono affatto. Non toglierti mai il crocifisso, non lasciare che ti tocchino e non guardarli negli occhi.»
«Lo so. Ho studiato vampirismo per due semestri.»
Scossi la testa. «Larry. Questo non è un libro, questa è la realtà. Leggere non ti prepara ad affrontarla.»
«Abbiamo ascoltato parecchi conferenzieri, alcuni dei quali erano vampiri.»
Sospirai. Doveva imparare per conto suo, come chiunque altro, e come avevo fatto anch'io.
Le porte erano chiuse a chiave. Bussai. Subito dopo Irving mi aprì. Non sorrideva. Sembrava un cherubino paffuto con una frangia di capelli morbidi e ricci all'altezza delle orecchie e il cocuzzolo calvo. Sulla punta del nasino rotondo portava occhiali rotondi dalla montatura metallica. Sgranò un po' gli occhi mentre noi due varcavamo la soglia. Alla luce, il sangue era facilmente riconoscibile per quello che era.
«Che hai fatto stanotte?»
«Ho resuscitato un po' di morti.»
«Questo è il nuovo risvegliante?»
«Larry Kirkland... Irving Griswold... Irving è un reporter, Larry, perciò tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te.»
«Ehi, Blake! Non ti ho mai citata senza il tuo consenso! Questo me lo devi concedere.»
«Concesso.»
«Lui aspetta di sotto», disse Irving.
«Di sotto?» chiesi.
«È quasi l'alba. Deve rimanere nel sottosuolo.»
«Ah, certo», borbottai, mentre mi si serrava lo stomaco. L'ultima volta che ero scesa nei sotterranei del Circo, era stato per uccidere Nikolaos. Era stato un massacro e il sangue era scorso in abbondanza... Anche il mio sangue.
Irving ci precedette lungo il vialetto silenzioso, fiocamente illuminato. Le luci erano state abbassate, i padiglioni erano chiusi e gli animali impagliati erano coperti. Gli odori delle focacce e dei dolciumi aleggiavano nell'aria come spettri aromatici, deboli e stanchi.
Superammo la Casa Infestata, sovrastata da una strega a grandezza naturale, che ci fissava con occhi sporgenti, silenziosa, verde, con un bitorzolo sul naso. Non avevo mai incontrato una strega che non avesse un aspetto del tutto normale. Di sicuro le streghe non sono verdi e, se hanno dei bitorzoli, possono rimuoverli chirurgicamente.
Arrivammo così alla Casa degli Specchi. Sopra ogni cosa torreggiava, spenta, la ruota panoramica. «Mi sento come chi cammina solo, in una deserta sala, dopo un banchetto. Le luci sono spente e appassite son le ghirlande. Nessuno è rimasto, tranne lui», recitai.
Irving si girò a guardarmi. «Spesso, nella notte immota di Thomas Moore.»
Sorrisi. «Non riuscirei a ricordare il titolo neanche se ne dipendesse la mia vita, perciò devo prenderti in parola.»
«Ho due lauree. Una in giornalismo e una in lingua e letteratura inglese.»
«Scommetto che la seconda ti serve un sacco, come reporter.»
«Be', quando posso, infilo un po' di cultura nei miei articoli.» Irving sembrò offeso, ma sapevo che fingeva. Dato che scherzava, mi sentivo meglio. Sembrava tutto tranquillo e normale. E quella notte avevo bisogno di tutta la tranquillità e la normalità possibili.
Mancava meno di un'ora all'alba. Quale danno poteva fare Jean-Claude in un'ora? Meglio non chiederlo...
Arrivammo a una pesante porta di legno che recava l'insegna: ACCESSO RISERVATO AL PERSONALE AUTORIZZATO. Per una volta, avrei preferito non avere nessuna autorizzazione.
Entrammo in un piccolo magazzino, illuminato da una lampadina nuda che pendeva dal soffitto. Un'altra porta si apriva su una scala che non era abbastanza larga da permettere a noi tre di scendere affiancati. Irving ci precedette, come se fosse necessario. Eppure non c'era altra possibilità che scendere.
Quando arrivammo in fondo a una rampa, udii un fruscio d'indumenti ed ebbi la sensazione che qualcosa si stesse muovendo. Sfoderai subito la pistola, obbedendo all'istinto sviluppato dall'esperienza.
«Quella non ti serve», disse Irving.
«Lo dici tu.»
«Credevo che il Master fosse tuo amico», intervenne Larry.
«I vampiri non hanno amici.»
«E gli insegnanti di scienze delle superiori?» Richard Zeeman apparve sul pianerottolo dalla rampa sottostante. Portava un maglione mimetico verde e marrone che gli arrivava quasi alle ginocchia. Se l'avessi indossato io, sarebbe stato come un vestito lungo. Le maniche erano arrotolate a scoprire gli avambracci. I jeans e le stesse Nike bianche che gli avevo già visto completavano il suo abbigliamento. «Jean-Claude mi ha mandato a ricevervi.»
«Perché?» domandai.
«Mah, sembra nervoso. Comunque non gli ho chiesto niente.»
«Sei un tipo sveglio», mormorai.
«Andiamo», ci esortò Irving.
«Sembri nervoso anche tu...»
«Lui chiama e io obbedisco, Anita. Sono il suo animale.» Quando allungai una mano per toccargli un braccio, Irving si scostò. «Credevo di potermi fingere umano, ma lui mi ha dimostrato che sono soltanto un animale.»
«Non lasciare che ti faccia questo», dissi.
Lui mi fissò, con gli occhi colmi di lacrime. «Non posso impedirglielo.»
«Dobbiamo andare», intervenne Richard. «È quasi l'alba.»
Lo guardai malissimo per avercelo ricordato.
Lui si strinse nelle spalle. «È meglio non far aspettare il Master, lo sai.»
Lo sapevo benissimo, perciò annuii. «Hai ragione. Non ho il diritto di prendermela con te.»
«Grazie.»
«Facciamola finita.»
«Puoi mettere via la pistola», disse lui.
Fissai la Browning. Mi piaceva tenerla in pugno, perché mi proteggeva. Comunque la rinfoderai. Potevo sempre estrarla di nuovo se fosse stato necessario.
In fondo alla scala c'era un'ultima porta, più piccola, chiusa da una grossa serratura di ferro. Irving prese una grossa chiave nera e la girò con un clic nella serratura ben lubrificata, infine aprì. Aveva la chiave del sotterraneo. Quanto c'era dentro? E potevo, io, tirarlo fuori?
«Un momento», dissi.
Si girarono tutti a guardarmi. «Non voglio che Larry incontri il Master. Non voglio nemmeno che sappia chi è.»
«Anita...» incominciò Larry.
«No, Larry. Sono già stata aggredita due volte da chi vorrebbe scoprirlo. Potresti saperlo soltanto se fosse necessario, ma non ne hai nessun bisogno.»
«Non ho bisogno che tu mi protegga.»
«Dalle ascolto», lo ammonì Irving. «Mi aveva avvertito di stare lontano dal Master, e io ho risposto di essere in grado di cavarmela, però sbagliavo. E di grosso.»
Larry incrociò le braccia sul petto, con un'espressione ostinata sul viso insanguinato. «So badare a me stesso.»
«Irving... Richard... Voglio una promessa. Meno ne sa, più è al sicuro.»
Annuirono entrambi.
«A nessuno importa quello che penso io?» chiese Larry.
«No», replicai.
«Dannazione! Non sono mica un bambino!»
«Voi due potrete litigare più tardi», scattò Irving. «Il Master sta aspettando.»
Larry fece per dire qualcosa, ma io alzai una mano. «Lezione numero uno. Mai fare aspettare un Master nervoso.»
Per un momento Larry sembrò deciso a opporsi, poi rinunciò. «Okay, ne discuteremo in seguito.»
Non avevo nessuna voglia di arrivare al seguito, ma discutere con Larry se io fossi davvero iperprotettiva nei suoi confronti sarebbe stato meglio di quello che aspettava oltre la porta. Io lo sapevo, Larry invece no. Comunque stava per imparare, e non c'era un accidente di niente che io potessi fare per impedirglielo.
35
Il soffitto si perdeva nell'oscurità. Tende pesanti di un materiale simile alla seta, bianche e nere, formavano pareti di tessuto. Piccole sedie nere e argento creavano una piccola zona adatta alla conversazione. Un tavolino da caffè di vetro e legno scuro occupava il centro della stanza. Un vaso nero con un mazzo di gigli bianchi era l'unica decorazione. L'arredamento sembrava incompleto, come se mancassero i quadri. Ma come si sarebbe potuto appendere quadri alle tende? Ero sicura che prima o poi Jean-Claude avrebbe trovato il modo.
Sapevo che il resto dell'ambiente era un enorme, cavernoso magazzino di pietra, di cui, però, rimaneva soltanto il soffitto perso nel buio. Persino il pavimento era nascosto, coperto da una morbida moquette nera.
Jean-Claude sedeva sopra una sedia nera, con la schiena curva, le caviglie incrociate, le mani intrecciate sullo stomaco. Indossava una camicia bianca, semplicissima, a parte il fatto che il petto era sottile come garza e lasciava trasparire l'ustione a forma di croce, che spiccava scura e nitida sul pallore della pelle. Il cannoncino, i polsini e il colletto non erano trasparenti.
Ai suoi piedi sedeva Marguerite, con la testa appoggiata sopra una sua gamba, come una cagna obbediente. I suoi capelli biondi e il suo completo - giacca e calzoni rosa - sembravano stonare col bianco e nero della stanza.
«Vedo che hai riarredato l'ambiente...» dissi.
«Soltanto qualche piccola comodità», replicò Jean-Claude.
«Sono pronta a incontrare il Master della Città», annunciai.
Lui spalancò gli occhi, mentre un'espressione interrogativa si formava sul suo volto.
«Non voglio che il mio nuovo collega incontri il Master. Mi sembra una conoscenza pericolosa, in questo momento.»
Jean-Claude rimase immobile, limitandosi a fissarmi e accarezzando distrattamente i capelli di Marguerite. Dov'era Yasmeen? Da qualche parte, in una bara, al sicuro dall'alba imminente. «Accompagnerò soltanto te a incontrare... il Master» disse infine. La sua voce era neutra, ma riuscii a individuare in essa una sfumatura di divertimento. Non era la prima volta che Jean-Claude mi trovava divertente, e probabilmente non sarebbe stata l'ultima.
Con un movimento aggraziato, si alzò, lasciando Marguerite in ginocchio accanto alla sedia vuota. Notai che sembrava dispiaciuta, le sorrisi, e lei mi guardò malissimo. Provocarla era infantile, però mi faceva sentire meglio. Tutti hanno bisogno di un hobby.
Jean-Claude scostò le tende a rivelare l'oscurità. Allora mi resi conto che la stanza era indirettamente illuminata da lampade elettriche installate nelle pareti. Oltre le tende, invece, non c'era nulla, tranne la luce guizzante delle fiaccole. Era come se le tende racchiudessero il mondo moderno con tutte le sue comodità. Al di là esistevano soltanto la pietra, il fuoco e i segreti sussurrati nell'oscurità.
«Anita?» chiamò Larry, apparentemente indeciso, forse persino spaventato. Ma io stavo per portarmi via l'essere più pericoloso della stanza, lasciando lui al sicuro con Irving e Richard. Non credevo che Marguerite fosse pericolosa, senza Yasmeen a tenerla al guinzaglio.
«Per favore, Larry, rimani qui. Tornerò al più presto possibile», mormorai.
«Sii prudente», disse lui.
Sorrisi. «Lo sono sempre.»
Anche lui sorrise. «Già, come no...»
Jean-Claude mi esortò con un gesto della mano pallida e io lo seguii. La tenda ricadde alle nostre spalle, nascondendo la luce. L'oscurità si chiuse intorno a noi come un pugno. Le fiaccole infisse nella parete opposta luccicavano senza turbare il buio avvolgente.
Jean-Claude mi precedette. «Non vogliamo mica che il tuo collega ci senta...» Il suo sussurro crebbe fino a percuotere le tende come un vento.
Il cuore cominciò a martellarmi contro le costole. Come diavolo riusciva a farlo? «Risparmia questi trucchi melodrammatici per chi si lascia impressionare.»
«Parole coraggiose, ma petite... Però sento in bocca il sapore del battito del tuo cuore.» La sua voce accarezzò la mia pelle come se le sue labbra mi sfiorassero la nuca. Fui scossa da un brivido.
«Se vuoi continuare con questi giochetti fino all'alba, per me va benissimo. Ma Irving mi ha detto che sai qualcosa sul Master che mi ha aggredita. E vero, o era soltanto una balla?»
«Io non ti mento mai, ma petite.»
«Andiamo!»
«Le verità parziali non sono menzogne.»
«Suppongo che dipenda dalla situazione...»
Lui annuì. «Vogliamo sederci in fondo alla sala, dove non possono sentirci?»
«Certo.»
Lui s'inginocchiò nella piccola area circolare illuminata da una fiaccola. Si era avvicinato alla luce soltanto per me, e io apprezzai il gesto, ma dirlo sarebbe stato assurdo.
Sedetti di fronte a lui, con la schiena al muro. «Ebbene, cosa sai di Alejandro?»
Mi fissò con un'espressione strana.
«Allora?»
«Dimmi tutto quello che è successo la notte scorsa, ma petite, e tutto quello che sai di Alejandro.»
Benché suonasse come un ordine - e la cosa non mi piacesse affatto - scorsi qualcosa nel suo sguardo: era inquietudine, quasi paura. Mi sembrava assurdo. Che cosa poteva mai temere, Jean-Claude, da Alejandro? Già, cosa? Gli dissi tutto quello che ricordavo.
Il suo viso divenne assolutamente privo di espressione, bello e irreale come un ritratto a colori, ma privo di vitalità e di movimento. S'infilò un dito tra le labbra, lo succhiò lentamente, poi lo protese verso di me, umido e luccicante di saliva.
Mi ritrassi di scatto. «Che stai cercando di fare?»
«Vorrei pulirti la guancia dal sangue. Nient'altro.»
«Non credo proprio.»
Il suo sospiro, quasi impercettibile, scivolò sulla mia pelle come una brezza. «Rendi tutto difficile...»
«Sono lieta che tu l'abbia notato.»
«Ho bisogno di toccarti, ma petite. Credo che Alejandro ti abbia fatto qualcosa.»
«Come?»
«Qualcosa d'impossibile.»
«Niente indovinelli, Jean-Claude.»
«Credo che ti abbia imposto il suo marchio.»
Lo fissai. «Che vuoi dire?»
«Ti ha marchiata, Anita Blake. Ti ha imposto il primo marchio, come ho fatto io.»
«Non è possibile... Due vampiri non possono avere lo stesso servo umano...»
«Giusto.» Mi si avvicinò. «Ti prego, ma petite... Lascia che verifichi la mia teoria...»
«Vale a dire?»
Lui sibilò qualcosa in francese. Non lo avevo mai sentito imprecare. «L'alba è passata e io sono stanco. Se continuerai con le domande, farai durare per tutto il giorno qualcosa di molto semplice.» La sua voce esprimeva una collera autentica, sotto la quale tuttavia si percepivano la stanchezza e un filo di paura. E quella paura mi spaventò. Lui era una specie di mostro intoccabile, e i mostri non hanno paura degli altri mostri.
Sospirai. Era meglio farla finita? Forse... «Va bene, visto che abbiamo poco tempo... Ma almeno dammi un'idea di quello che devo aspettarmi. Sai che non mi piacciono le sorprese.»
«Devo toccarti per cercare prima i miei marchi e poi il suo. Non dovevi cedere così facilmente al suo sguardo. No, non doveva succedere.»
«Facciamola finita.»
«Il mio tocco ti sembra così ripugnante da doverti preparare, come se dovessi sopportare un dolore?»
«Fallo e basta, Jean-Claude, prima che cambi idea.»
S'infilò di nuovo il dito tra le labbra.
«Devi proprio fare così?»
«Ti prego, ma petite...»
A disagio, strusciai la schiena contro il freddo muro di pietra. «Va bene... Basta con le interruzioni...»
«Bene.» Si avvicinò a me e, col polpastrello, mi tracciò una riga di saliva sulla guancia destra, ruvida di sangue raggrumato, poi si curvò su di me come per baciarmi. Gli posai le mani sul petto per impedirgli di toccarmi. La sua pelle era dura e liscia sotto la camicia sottile come garza.
Mi ritrassi di nuovo, di scatto, sbattendo la testa contro il muro. «Dannazione!»
Sorrise. I suoi occhi blu scintillarono alla luce della fiaccola. «Fidati di me...» Si avvicinò sino a sfiorarmi la bocca con le labbra. «Non ti farò male...» Sussurrò quella frase direttamente nella mia bocca, come una morbida corrente d'aria.
«Sicuro... Come no...» replicai. Ma le parole mi uscirono deboli, incerte.
Le sue labbra accarezzarono le mie, poi esercitarono una delicata pressione. Il bacio passò dalle mie labbra alla mia guancia. La sua bocca era morbida come seta, gentile come petali di calendula, calda come il sole di mezzogiorno. Mi sfiorò la pelle fino a rimanere sospesa sul collo pulsante.
«Jean-Claude...?»
«Alejandro è vissuto all'epoca in cui l'impero azteco era soltanto un sogno», sussurrò lui sulla mia pelle. «Ha accolto gli spagnoli e ha assistito alla caduta degli aztechi. Ed è sopravvissuto, a differenza di molti altri, che sono morti oppure impazziti.» La sua lingua guizzò, calda e umida.
«Basta!» Spinsi per allontanarlo e sentii battere il suo cuore contro le mie mani. Le sollevai verso la sua gola e ne sentii il pulsare vigoroso. Posai un pollice sopra una delle sue palpebre lisce. «Spostati o lo perderai», dissi, con voce ansimante di panico e di qualcosa di ancora peggiore. Di desiderio.
La sensazione del suo corpo contro il mio, sotto le mie mani, e delle sue labbra che mi toccavano... Una parte nascosta di me desiderava quel contatto. Desiderava lui. Dunque avevo voglia del Master... E allora? Non era mica una novità... Mentre il suo bulbo oculare tremava sotto il mio pollice, mi chiesi se sarei stata capace di cavarglielo. Potevo forse schiacciare uno di quegli occhi blu come la notte? Potevo forse accecarlo?
Ritrasse le labbra e mi sfiorò la pelle coi denti, raschiandomi la gola con le zanne dure. E la risposta improvvisa arrivò. Sì. Anziché ritrarmi, mi preparai a riceverlo. E lui scomparve come un sogno, o come un incubo.
Era in piedi davanti a me e mi guardava dall'alto, con gli occhi completamente neri, privi del bianco, le labbra ritratte a scoprire le zanne scintillanti, e la pelle bianca come il marmo, che sembrava emanare luce propria. Era bello come sempre.
«Alejandro ti ha imposto il suo primo marchio, ma petite. Ti condivido con lui. Non so come, ma è così. Altri due marchi e sarai mia. Altri tre e sarai sua. Non sarebbe meglio se tu fossi mia?» S'inginocchiò di nuovo, badando a non toccarmi. «Tu mi desideri come una donna desidera un uomo. Non è forse meglio che essere presa con la forza da uno sconosciuto?»
«Non hai chiesto il mio permesso per i primi due marchi. Non sono stati una scelta.»
«Te lo chiedo adesso. Lasciami condividere con te il terzo marchio.»
«No.»
«Preferiresti servire Alejandro?»
«Non servirò nessuno.»
«Questa è una guerra, Anita. Non puoi rimanere neutrale.»
«Perché no?»
Si alzò e prese a camminare all'intorno, tracciando un cerchio stretto. «Non capisci? Gli omicidi sono una sfida alla mia autorità, e il marchio che ha imposto a te è un'altra sfida. Ti porterà via da me, se potrà.»
«Non appartengo a te, e neanche a lui.»
«Lui t'imporrà con la forza quello che io ho cercato di convincerti a credere e ad accettare.»
«Dunque è a causa dei tuoi marchi se mi trovo nel bel mezzo di una guerra tra non morti...»
Lui batté le palpebre, aprì la bocca, la richiuse, infine disse: «Sì».
Mi alzai. «Molte grazie.» Gli passai davanti per andarmene. «Se hai altre informazioni su Alejandro, spediscimi una lettera.»
«Tutto questo non finirà soltanto perché tu lo desideri.»
Mi fermai davanti alle tende. «Lo so, accidenti! Quanto ho desiderato che tu mi lasciassi in pace!»
«Se non ci fossi, sentiresti la mia mancanza.»
«Non illuderti.»
«E tu non mentire a te stessa, ma petite. Io ti ho offerto un'alleanza, lui intende importi la schiavitù.»
«Ci credi davvero, a 'sta stronzata dell'alleanza? Allora non dovevi obbligarmi a ricevere i primi due marchi. Dovevi chiedermelo. Per quello che ne so, può anche darsi che il terzo marchio non possa essere imposto senza il mio consenso...» Lo fissai. «È così, vero? Per il terzo marchio hai bisogno del mio aiuto, o qualcosa del genere... È diverso dai primi due... Figlio di puttana!»
«Il terzo marchio senza il tuo... consenso sarebbe come uno stupro, anziché come un rapporto d'amore. Tu mi odieresti per l'eternità, se io ti prendessi con la forza.»
Gli girai la schiena e afferrai la tenda. «Hai proprio ragione!»
«Alejandro non si cura del tuo odio. Vuole soltanto ferire me. Non chiederà il tuo permesso. Ti prenderà e basta.»
«So badare a me stessa.»
«Come hai fatto la notte scorsa?»
Alejandro aveva fatto di me quello che aveva voluto, senza che io me ne accorgessi. Quale protezione avevo contro un mostro del genere? Scossi la testa e tirai bruscamente la tenda. La luce fu così intensa da accecarmi. Rimasi immobile, in attesa che la mia vista si abituasse. L'oscurità fredda soffiò contro la mia schiena. La luce era calda e violenta, dopo il buio, ma qualunque cosa era preferibile ai sussurri della notte. Accecata dalla luce oppure accecata dalla tenebra? Non avevo dubbi. Avrei sempre scelto la luce.
36
Larry era steso sul pavimento, con la testa in grembo a Yasmeen, che lo teneva per i polsi. Marguerite lo immobilizzava, standogli sopra, e gli puliva il sangue dal viso strofinandoci contro la lingua in modo lento, deliberato. Richard giaceva, inerte, col sangue che gli colava sul viso. Sul pavimento, qualcosa si muoveva, contorcendosi, e, su di esso, la pelliccia grigia scorreva come acqua. Una mano si protese verso il cielo, poi si accartocciò come un fiore morente, le ossa scintillanti che sporgevano dalle carni. Le dita rimpicciolirono e la carne rotolò lungo le articolazioni. Tanta carne scorticata e niente sangue. Le ossa scivolavano dentro e fuori producendo un risucchio e gocce di un fluido limpido schizzavano sulla moquette nera. Però non c'era sangue.
Sfoderai la Browning e mi spostai per puntarla tra Yasmeen e la cosa sul pavimento, allontanandomi però dalle tende, in modo che non fosse troppo facile aggredirmi alle spalle. «Lasciatelo! Subito!» gridai.
«Non gli abbiamo fatto male», disse Yasmeen.
Marguerite si curvò sul corpo di Larry e prese a massaggiargli i genitali.
«Anita!» Larry aveva gli occhi sgranati e il viso pallido. Le lentiggini spiccavano come macchie d'inchiostro.
Sparai a pochi centimetri dalla testa di Yasmeen. Lo schianto riecheggiò.
«Prima che tu prema di nuovo il grilletto, posso squarciargli la gola...» mi ringhiò contro Yasmeen.
Mirai alla testa di Marguerite, proprio sopra un occhio azzurro. «Se tu ammazzi lui, io ammazzo Marguerite. Sei disposta allo scambio?»
«Yasmeen! Che stai facendo?» Jean-Claude entrò, alle mie spalle. Gli lanciai un'occhiata, ma riportai subito lo sguardo su Marguerite. Lui non era un pericolo, almeno per il momento.
La cosa sul pavimento si alzò su quattro zampe tremanti, scrollandosi poi come un cane bagnato. Era un grosso lupo, con la folta pelliccia grigia e marrone gonfia e morbida, come se fosse stata appena lavata e asciugata. Una densa pozza di liquido si era formata sul tappeto e brandelli d'indumenti erano sparsi tutt'intorno. Il lupo era emerso dal guazzabuglio come nuovo, appena rinato.
Un paio di occhiali rotondi dalla montatura metallica era posato sul tavolino da caffè, con le stanghette accuratamente ripiegate.
«Irving?»
Il lupo emise un breve suono tra il brontolio e il latrato. Era un sì?
Avevo sempre saputo che Irving era un licantropo, ma vederlo era una cosa del tutto diversa. Fino a quel momento non ci avevo creduto davvero. Ma, fissando gli occhi marrone chiaro del lupo, ci credetti.
Intanto, Marguerite aveva cambiato posizione. Era stesa sul pavimento dietro Larry e si stringeva a lui, con le braccia intorno al busto e le gambe intorno alla cintura. Era quasi completamente nascosta da lui o, meglio, si faceva scudo del suo corpo.
Avevo perso troppo tempo a fissare Irving. Ormai non potevo più sparare a Marguerite senza rischiare di colpire Larry. Yasmeen stava in ginocchio accanto a loro e, con una mano, teneva Larry per i capelli. «Potrei spezzargli il collo.»
«Tu non gli farai male, Yasmeen», disse Jean-Claude, in piedi accanto al tavolino. Il lupo si affiancò a lui, con un sordo brontolio. Lui gli sfiorò la testa.
«Richiama i tuoi cani, Jean-Claude, o questo muore.» Per sottolineare la minaccia, Yasmeen tirò indietro la testa di Larry, esponendo il profilo pallido e teso della gola. Il cerotto che copriva il morso della vampira era stato tolto. Con un guizzo della lingua, Marguerite toccò il collo inarcato.
Ero pronta a scommettere di poterla centrare in fronte mentre leccava il collo di Larry, ma sapevo che Yasmeen avrebbe potuto rompere l'osso del collo al ragazzo, e io non potevo rischiare.
«Fa' qualcosa, Jean-Claude», dissi. «Tu sei il Master della Città. Lei dovrebbe obbedire ai tuoi ordini.»
«Sì, Jean-Claude. Su, comanda», mormorò Yasmeen.
«Jean-Claude... Che sta succedendo?» chiesi.
«Mi sta mettendo alla prova.»
«Perché?»
«Yasmeen vuole diventare Master della Città. Però non è abbastanza forte.»
«Sono stata abbastanza forte per impedire a te e alla tua serva di sentire le grida di quest'uomo. Richard ha gridato il tuo nome e tu non hai sentito niente perché io te l'ho impedito.»
Richard era di nuovo in piedi, dietro Jean-Claude. Aveva un angolo della bocca insanguinato, e un filo di sangue gli colava da un piccolo taglio sulla guancia destra. «Ho cercato di fermarla.»
«Non ti sei impegnato abbastanza», commentò Jean-Claude.
«Potrete discuterne più tardi», tagliai corto. «Adesso abbiamo un problema.»
Yasmeen rise. Il suono mi tremolò lungo la spina dorsale come se qualcuno mi avesse vuotato sulla schiena un barattolo di vermi. Rabbrividendo, decisi che, per prima cosa, avrei sparato a Yasmeen. Così avremmo scoperto se un Master era davvero più veloce di una pallottola.
Lei lasciò Larry con una risata e si alzò. Marguerite invece rimase aggrappata a lui. Larry si alzò sulle mani e sulle ginocchia, con la donna che lo montava come un cavallo, aggrappata con le braccia e con le gambe. Rideva e gli baciava il collo.
Allora le tirai un calcio in faccia con tutte le mie forze. Lei scivolò sul pavimento e giacque immobile, intontita. Yasmeen avanzò e io le sparai mirando al petto, ma Jean-Claude mi colpì il braccio, facendomi mancare il bersaglio.
«Mi serve viva, Anita.»
Mi scostai bruscamente da lui. «E pazza!»
«Ma lui ha bisogno del mio aiuto per combattere gli altri Master», spiegò Yasmeen.
«Ti tradirà, se potrà», dissi.
«Resta il fatto che ho bisogno di lei.»
«Se non puoi controllare Yasmeen, allora come diavolo speri di poter combattere Alejandro?»
«Non lo so», mormorò Jean-Claude. «Volevi sentirmi dire questo? Ebbene, non lo so.»
Larry era ancora carponi davanti a noi.
«Riesci ad alzarti?» gli chiesi.
Lui alzò la testa, guardandomi con occhi lucidi di lacrime. Si appoggiò a una sedia, per rialzarsi, e rischiò di cadere.
Lo presi per un braccio, sempre impugnando la pistola con la destra. «Forza, Larry... Andiamocene di qui.»
«Mi sembra un'idea magnifica...» La sua voce suonò incredibilmente soffocata per lo sforzo di non piangere.
Così ci avvicinammo alla porta. Io lo aiutai a camminare, sempre minacciando con la pistola tutti quelli che si trovavano nella stanza.
«Accompagnali, Richard. Assicurati che arrivino sani e salvi alla macchina. E non deludermi come hai già fatto oggi.»
Ignorando la minaccia, Richard ci superò per aprirci la porta. Uscimmo senza mostrare la schiena ai vampiri e al licantropo. Quando la porta fu chiusa, lasciai sfuggire il fiato che non mi ero accorta di trattenere.
«Adesso riesco a camminare», disse Larry. Gli lasciai il braccio. Lui si appoggiò con una mano al muro. A parte questo, mi sembrava okay. La prima lacrima gli scivolò lentamente sulla guancia. «Portami fuori di qui.»
Rinfoderai la pistola, che ormai non mi serviva più. Richard e io fingemmo di non notare le lacrime di Larry, che piangeva silenziosamente. Senza guardarlo in faccia, non ci si poteva accorgere che stava piangendo.
Cercai di escogitare qualcosa da dire, qualsiasi cosa. Ma cosa? Aveva incontrato i mostri, e ne era rimasto tanto spaventato da farsela quasi addosso. Anch'io ne ero stata atterrita. Chiunque lo sarebbe stato. Adesso Larry lo sapeva, e forse ne era valsa la pena. O forse no.
37
La luce densa e dorata del primo mattino illuminava la strada. L'aria era fredda e brumosa. Il fiume non si poteva vedere, però si sentiva. Era una sensazione come di acqua nell'aria, che rinfrescava e ripuliva ogni respiro.
Larry prese le chiavi della macchina.
«Te la senti di guidare?» chiesi.
Lui annuì. Le lacrime avevano smesso di scorrere. Non piangeva più. Aveva un'espressione torva, eppure continuava a somigliare a Howdy Doody. Aprì la portiera e si sedette al posto di guida, poi si allungò a sbloccare la portiera del passeggero.
Richard rimase in disparte. Quando il vento freddo gli scompigliò i capelli, lui se li scostò dal viso, in un gesto per me dolorosamente familiare: Phillip lo faceva sempre. Poi Richard mi sorrise, e mi resi conto che quello non era il sorriso di Phillip. Era luminoso e aperto, senza nulla di nascosto negli occhi marroni.
Sulla guancia e all'angolo della bocca, il sangue aveva cominciato a raggrumarsi.
«Vattene finché puoi, Richard.»
«Andarmene via? E da cosa?»
«Ci sarà una guerra tra i non morti. Non ti conviene rimanere coinvolto.»
«Non credo che Jean-Claude mi permetterà di uscirne», disse, senza sorridere. Non riuscivo a decidere se era più bello quando sorrideva oppure quand'era serio.
«Gli umani non se la cavano troppo bene in mezzo ai mostri, Richard.»
«Tu sei umana.»
«Qualcuno lo metterebbe in dubbio.»
«Non io.» Lui allungò una mano a toccarmi e io non mi mossi. Le sue dita mi sfiorarono una guancia. Erano calde e molto vive. «Ci vediamo alle tre di oggi pomeriggio, se non sarai troppo stanca...»
Scossi la testa, e la sua mano si allontanò dal mio viso. «È un'occasione che non voglio perdere.»
Lui sorrise di nuovo. I capelli scompigliati gli ricadevano sul volto.
Io tenevo sempre il ciuffo abbastanza corto, in modo che soltanto raramente mi cadesse sugli occhi. Il taglio sfumato è una cosa meravigliosa. Aprii la portiera. «Ci vediamo oggi pomeriggio.»
«Ti porterò il costume.»
«Come sarò vestita?»
«Da signora della Guerra Civile.»
«Cioè con la crinolina?»
«Probabilmente.»
Corrugai la fronte. «E tu?»
«Da ufficiale confederato.»
«Allora avrai i pantaloni...»
«Credo che il vestito da donna mi sarebbe troppo piccolo.»
Sospirai. «Non è che non ti sia grata, Richard, ma...»
«La crinolina non ti va troppo a genio?»
«Non troppo.»
«Io ti avevo offerto di strisciare nel fango. L'idea della festa è stata tua.»
«Ne farei a meno, se potessi.»
«Potrebbe valerne la pena soltanto per vederti in costume. Ho la sensazione che sia un evento raro...»
«Possiamo andare? Ho bisogno di una sigaretta e di dormire un po'», intervenne Larry.
«Arrivo subito.» Mi girai di nuovo verso Richard e, all'improvviso, non seppi più cosa dire. «A più tardi.»
Lui annuì. «A più tardi.»
Salii in auto, e Larry partì prima che potessi allacciarmi la cintura di sicurezza. «Perché tanta fretta?»
«Voglio andarmene il più lontano possibile da questo posto.»
Lo guardai. Era ancora pallido. «Ti senti bene?»
«No, per niente.» Mi guardò, con gli occhi azzurri ardenti di collera. «Come puoi essere tanto tranquilla dopo quello che è successo?»
«Tu sei rimasto calmo, dopo quello che è successo la notte scorsa. Eppure sei stato anche morso.»
«Stavolta è stato diverso. Quella donna mi ha succhiato la ferita, e...» Strinse il volante con tanta violenza che le mani gli tremarono.
«La notte scorsa sei stato ferito più gravemente. Perché adesso la prendi peggio?»
«La notte scorsa c'è stata violenza, ma non... perversione. I vampiri di ieri volevano qualcosa, cioè il nome del Master. Quelli di oggi non volevano niente, se non essere...»
«Crudeli.»
«Sì, crudeli.»
«Sono vampiri, Larry. Non sono umani. Non seguono le stesse regole.»
«Stanotte quella vampira mi avrebbe ucciso per puro capriccio.»
«Sì.»
«Come puoi sopportarne la vicinanza?»
«È il mio lavoro.»
«È anche il mio.»
«Non è un obbligo, Larry. Puoi rifiutarti di lavorare ai casi che coinvolgono i vampiri. La maggior parte dei risveglianti lo fa.»
Lui scosse la testa. «No, non voglio rinunciare.»
«Perché?»
Rimase in silenzio per un po'. Quindi, mentre imboccava la 270 verso sud, disse: «Come puoi pensare di uscire oggi pomeriggio, dopo quello che è successo?»
«Devi avere una vita, Larry. Se lasci che questo lavoro ti divori vivo, sei finito.» Lo scrutai in viso. «E non hai risposto alla mia domanda...»
«Quale domanda?»
«Perché non vuoi rinunciare a diventare uno sterminatore di vampiri?»
Larry esitò, concentrandosi sulla guida. Improvvisamente sembrava molto interessato alle macchine che passavano. Superammo un cavalcavia ferroviario, proseguendo poi sulla strada fiancheggiata da magazzini su entrambi i lati. Molte finestre erano sfondate. La ruggine colava dal ponte. «Bel quartierino...»
«Continui a eludere la mia domanda. Perché?»
«Non voglio parlarne.»
«Quando ti ho chiesto della tua famiglia hai detto che sono tutti vivi... E gli amici? Hai forse perso un amico a causa dei vampiri?»